Il (lungo) cammino verso la cima

Lo studio di uno strumento porta spesso a un approccio meccanico.
Che significa? Se io ripeto tutti i giorni una serie di esercizi tecnici rischio di eseguirli senza pensare, senza la corretta attenzione.
E' importante quindi porsi un obiettivo ben preciso ogni volta che si esegue un esercizio. Se si studia meccanicamente e senza obiettivi è meglio uscire e fare una passeggiata.
L'obiettivo da raggiungere dovrà essere cercato tutti i giorni, con volontà e passione.
Se sto studiando le corde vuote il mio pensiero costante sarà quello di ottenere il suono più bello possibile, e starò attenta alla postura, alla morbidezza del braccio, alla tenuta dell'arco, al peso e alla qualità del suono prodotto, che deve avere più armonici possibile. Diciamo quindi che già su una corda vuota abbiamo molto materiale a disposizione!
Posso poi occuparmi dell'intonazione, della caduta delle dita, dei cambi di posizione, della velocità e così via.
Chiediamoci se il ritmo funziona - spesso il ritmo si trasforma per colpa di arcate delle quali abbiamo poca padronanza (una arcata eseguita con troppo accento sposta il battere in levare); facciamo sempre attenzione a questo.
Infine l’interpretazione: di sicuro nella nostra testa siamo in grado di immaginare il brano che stiamo suonando. Se ci pensiamo o lo canticchiamo ci verrà davvero come lo immaginiamo, come lo vogliamo. Cerchiamo quindi di renderlo com'è nella nostra testa, e non come le braccia ci portano a suonarlo. Magari sarà una interpretazione discutibile, ma di sicuro interessante e piena di musica.
Mi piace pensare al raggiungimento di un obiettivo come una camminata in montagna: si inizia lentamente, guardando la cima (chiedendosi se mai si raggiungerà)... Poi si comincia a camminare, con calma. Ad un certo punto, verso la fine, la fatica è tanta, le gambe non ce la fanno più e il fiato sembra finire; spesso si pensa di mollare e di tornare indietro. Una volta arrivati in cima, però, sparisce tutto alla vista della meraviglia che si ha di fronte, allo spettacolo delle cime dei monti, e all'idea di aver domato la fatica e superato la difficoltà.


ps: la montagna è il Cervino (la mia montagna preferita)


L'orecchio e la voce


"L'orecchio e la voce" è un saggio interessantissimo di Alfred Tomatis, medico francese che si occupò in modo approfondito delle patologie dell'orecchio.
La sostanza della teoria di Tomatis è che l'orecchio è importantissimo per la percezione della realtà che ci circonda; l'udito è un senso fondamentale, che però non viene preso in considerazione quanto dovrebbe. Chi è interessato all'argomento può trovare tutto online, comprese associazioni che continuano il lavoro del grande studioso.
Quello che mi ha colpito profondamente di Tomatis è un esercizio molto semplice, che poi secondo me può essere applicato alla musica e allo studio dell'intonazione e alla ricerca del bel suono.
Ci sediamo in modo da avere una postura rilassata, e ci concentriamo semplicemente su tutto ciò che riusciamo ad ascoltare: all'inizio dell'esercizio i suoni e i rumori sono pochi, poi aumentano, perché ovviamente è la nostra percezione di questi ad aumentare. Un esempio: se io sto facendo un esercizio per rilassarmi ripeto più volte "il mio braccio è rilassato, il mio braccio è pesante, il mio braccio è abbandonato...." e così via. Con l'orecchio è lo stesso, ci si chiede cosa stiamo sentendo, e ci si interroga se c'è altro.

Per quanto riguarda lo studio dell'intonazione, quindi, sarà lo stesso.
Suono una corda vuota e poi una nota con la mano sinistra. Aspetto e mi chiedo se è intonata. Se sì la riprovo comunque per confermare all'orecchio (e al mio corpo) che è corretta. Se non la sento intonata provo ancora, ancora e ancora....
E' la domanda che stimola l'orecchio, così come un peso i muscoli dei bicipiti!
Domandiamoci continuamente quindi se la nota che stiamo suonando è intonata. Inutile dire che tutto questo va eseguito lentamente (diciamo 40 di metronomo ogni nota, più un respiro o una pausa) e che le dita devono cadere senza scivolare sulla tastiera, quindi ferme sulle corde.
Lo stesso si può fare con il bel suono.
L'orecchio lavora come tutti gli altri muscoli: l'unico modo per stimolarlo è attivarlo tramite continue domande.






Eppur si muove...

Suonare e muoversi: come e quanto?
Ci sono violinisti che si muovono in modo forsennato, dalla punta dei piedi a quella dei capelli. Ce ne sono altri invece che sono totalmente immobili e fermi, saldi sui loro piedi.
La scelta di muoversi mentre si suona è personale; diciamo che dipende anche dall'occasione. Un solista può sicuramente permettersi un maggior movimento rispetto a chi suona in orchestra.
In uno dei primi post di questo blog ho parlato di quanto sia importante la postura: piedi ben saldi a terra, busto solido, spalle rilassate e braccia morbide. Questo ovviamente è il primo passo per la "base". Da questa si può partire per muoversi più o meno liberamente seguendo la musica. L’importante è essere coscienti del nostro movimento, quindi scegliere di muoverci o di rimanere fermi. Quello che trovo assolutamente sbagliato è il movimento ripetitivo, come per esempio il dondolio incontrollato, che a volte può essere addirittura fuori tempo o i movimenti che rasentano il tic.
Il movimento è ovviamente utile e liberatorio! Fa bene studiare muovendosi: si possono eseguire scale o corde vuote, oppure brani facili, camminando, muovendo le gambe e alzando la testa, facendo insomma dei movimenti che distolgano la nostra attenzione dall’eccessiva tensione che ci porta lo strumento.
Oppure possiamo suonare un brano che ci piace e che conosciamo bene. Ci chiudiamo in una stanza perché in questi casi è necessario per potersi lasciare andare liberamente. E iniziamo a muoverci seguendo la musica, se è possibile chiudendo gli occhi: non suoneremo mai così di fronte a nessuno.... ma la sensazione di quel movimento liberatorio rimarrà sempre dentro di noi.






Questa immagine è tratta dal film "La foresta dei pugnali volanti" (per chi non lo avesse visto: la danzatrice è cieca).

Che la forza sia con te

La forza che impieghiamo per suonare varia a seconda di quello che stiamo facendo.
Ad esempio: se suoniamo un passaggio veloce le dita dovranno quasi sfiorare le corde, quanto basta per far uscire la nota. Se invece dobbiamo suonare una melodia cantabile, il suono sarà molto vibrato, il peso e la pressione saranno ovviamente maggiori.
Proviamo quindi a impiegare la forza necessaria, mai di più né di meno.
Questo discorso vale per tutte le nostre azioni quotidiane: proviamo a variare l'intensità e a calibrare la nostra forza, fino a quando troveremo quella giusta. Se ci fermiamo a pensare alla forza che utilizziamo per una qualsiasi azione quotidiana ci renderemo conto che per lavarci i denti spesso usiamo la forza che serve per arare un campo di patate.
Per la mano sinistra, come dicevo, si passa dallo sfiorare le corde nei passaggi veloci o nei cambi di posizione, al peso che serve se dobbiamo vibrare intensamente una nota, oppure se dobbiamo fare un glissando espressivo.
Lo stesso quando teniamo lo strumento: se suoniamo in prima posizione possiamo quasi lasciarlo sulla spalla, aiutandoci a tenerlo anche con la mano sinistra. Se invece dobbiamo suonare una frase molto vibrata (magari con un cambio di posizione dalla quinta alla terza posizione, quindi all'indietro), lo strumento dovrà essere tenuto più stabilmente.
Per l'arco è lo stesso: alcune arcate si possono eseguire con il solo peso dell'arco, ossia limitandosi a "condurre" semplicemente l'arco sulle corde (le dita saranno leggere sulla bacchetta). Altre arcate invece dovranno essere eseguite con maggior peso dell'arco, una maggiore contropressione del pollice e una maggior presa da parte di tutte le dita.

Ricordiamoci quindi sempre di pensare a quanta forza è necessaria per quello che stiamo facendo: ci farà risparmiare energia, limitare i danni da sforzo e utilizzare in modo giusto la quantità che ci serve.





Un abbraccio allo strumento

Appeso alla libreria davanti alla quale studio (e o suono), ho la fotocopia delle ultime battute di "Lacrimae" di Benjamin Britten; in realtà si tratta del tema scritto nel 1597, dal John Dowland - precisamente “If my complaints could passion move”.

Io lo suono sempre, come un saluto allo strumento. Così come diciamo buongiorno e buonasera, così come sorridiamo (si spera) alla vista delle persone care, mi piace pensare a una specie di abbraccio allo strumento.

Quindi: scegliete quello che volete, quello che più vi piace, lento, veloce, patetico o scherzoso, e suonatelo tutti i giorni con tutta la gioia che avete e sempre nel modo migliore possibile (tecnica e cuore)...





Il (mio) Bignami


CORDE VUOTE
1: slanci (per la condotta dell'arco, senza peso, molto morbidi).
2: inizio ad aumentare le durate delle note: 2, 4, 6, 8.... 12, 16
(si possono variare slanci e note lunghe così come le corde tra loro: non sempre la stessa, insomma).
3: una scala con varianti: prima lenta, lentissima, poi legata a 2, 4, 8 e tutto l'arco; detaché, staccata, balzata...

MANO SINISTRA
1: caduta delle dita, lentamente (con estrema attenzione a morbidezza, intonazione e posizione della mano)
2: velocità (le dita si alleggeriscono) e studio del movimento del dito al contrario (quando si solleva dalla corda.
3: cambi di posizione: una scala su una corda, con cambi in prima-terza-quinta oppure prima-quarta.... scale a terze su una corda.
4: ottave: morbide, studiate pensando soprattutto alla caduta delle due dita e alla presa della mano partendo dal quarto dito; poi all'intonazione.


Prima la musica poi le parole

Queste di oggi sono considerazioni - e domande.
Mi chiedo sempre per quale motivo molta parte della musica, da quella popolare al jazz, ma anche quella del passato, abbia una notevole dose di improvvisazione.
E mi chiedo ancora per quale motivo i musicisti classici di oggi siano arrivati ad essere ossessionati dalle singole note, per non parlare di dinamica, fraseggi e arcate.
La domanda è provocatoria, nel senso che per alcune situazioni questa attenzione è davvero richiesta (concerti importanti e formazioni d'insieme), ma a volte tutto questo ci fa dimenticare la MUSICA.

Siamo ossessionati da così tante cose (a partire da quelle tecniche che ovviamente hanno la loro importanza), che la musica passa in secondo piano.
La tecnica e la precisione sono fondamentali, così come l'impostazione sullo strumento. Però devono diventare MEZZI per raggiungere qualcosa, ossia la musica, e non fine a se stessi.

Allora, dedichiamo parte dello studio, o meglio dell'esecuzione, alla vera musica: alla bellezza del suono con le arcate che più ci piacciono, al ritmo (che secondo me è fondamentale) anche sbagliando qualche nota e alla nostra interpretazione, con la dinamica che piiù ci piace e le arcate che ci vengono meglio! Se un ritmo non è chiaro sentiamolo prima dentro di noi: lo possiamo riprodurre con le mani, con un qualsiasi oggetto, e poi con le corde vuote, per esempio. Se una frase melodica non viene fuori, cantiamola, immaginiamola, e poi riproviamola (sempre corde vuote prima) sullo strumento.

Insomma... prima di tutto viene la musica, non ce lo dimentichiamo!



ps: "Prima la musica poi le parole" è il titolo di un divertimento di Antonio Salieri




Quattro contro uno



Il quarto dito è di sicuro un grande problema per chi suona il violino! Il dito è piccolo ma soprattutto lontano dal pollice. Questo secondo me è il punto sul quale riflettere.
Quando prendiamo un oggetto qualsiasi o ci teniamo all'autobus, usiamo sempre le quattro dita "contro" il pollice. L'opposizione del pollice ci permette di compiere dei movimenti incredibili ed estremamente complessi - come appunto suonare. Se osserviamo le scimmie, che hanno le "mani" simili alle nostre ma senza l'opposizione del pollice, ci rendiamo conto dell'importanza di questo movimento.

Trovo quindi fondamentale, nella tecnica della mano sinistra, usare questo meccanismo (quattro dita contro uno).
Provate a prendere il violino con la mano sinistra mettendolo davanti a voi, all'altezza del braccio. Prendetelo come se fosse un oggetto qualsiasi, stringendo senza pensarci troppo. Poi appoggiatelo sulla spalla e ruotate il braccio, come per suonare. Il pollice si troverà naturalmente davanti al medio (circa).
La posizione del pollice non è rigida né estremamente precisa come le atre (che ovviamente devono cadere in un punto esatto della tastiera): il pollice si posiziona dove c'è bisogno, e può essere modificato a seconda delle esigenze. L'importante è che sia morbido, che non stringa.
Tornando alle quattro dita. Io insegno ai miei allievi a suonare posizionando secondo e terzo dito, poi quarto e, per ultimo, il primo. Il contrario di come mi è stato insegnato da piccola (con tutto il rispetto per i miei insegnanti).
La mano in questo modo mantiene l'assetto di "presa", le quattro dita contro uno: ogni dito ha la sua giusta forza, soprattutto il quarto.
Quindi: pensiamo alla mano sinistra posizionandola con il secondo e terzo dito davanti al pollice, formando un anello. Poi poniamo il quarto in avanti, verso di noi, e il primo indietro, verso il riccio. E' una mano allargata, che permette una grande estensione. Possiamo anche stendere le due dita mobili, quarto e primo, in una sorta di stretching prima di suonare.
Se la mano viene impostata partendo dal primo dito ha invece una sola estensione, ossia quella del quarto dito. La posizione del primo dito di fronte al pollice, inoltre, crea l’effetto “pinza”, ossia serra le nocche tra loro, limitando l’apertura della mano.

Un esercizio: prendiamo il violino come sopra, ruotiamo la mano e proviamo a lasciare cadere naturalmente il secondo dito, così come si trova sulla tastiera, morbidamente; poi proviamo l'intonazione e correggiamo spostando la mano. Spostando la mano e non assestando il singolo dito. Poi aggiungiamo le altre dita: terzo e quarto, infine primo (più morbidamente possibile).
La solita raccomandazione: non aggiustare il dito facendolo scivolare ma alzandolo e ripetendo la caduta, in modo molto fermo.

PS: la posizione del pollice di fronte al medio è una scelta: ci sono bravissimi violinisti e docenti che usano e insegnano invece con l'altra impostazione e suonano benissimo!











Visualizzo quindi suono


Tra i vari modi di studiare credo che la visualizzazione sia fondamentale; inoltre risulta utilissima quando non possiamo studiare fisicamente lo strumento: dolori vari (torcicollo, male alle spalle...) o impegni di lavoro.
Visualizzare significa studiare mentalmente, immaginare quello che si suona. La visualizzazione è una tecnica precisa: non posso visualizzare qualcosa che non so fare. Insomma, anche se visualizzo il concerto di Brahms - che non ho mai studiato... non verrà mai!

Posso però visualizzare quello che conosco, quindi concentrarmi sulla condotta dell'arco, la caduta delle dita, in particolare la coordinazione tra le due. Spesso i problemi arrivano da una scarsa chiarezza di cosa si suona.
Per esempio: ricordiamoci che, se suoniamo delle note legate (4, 6, 8...) l'arco suona una sola nota, non deve fermarsi o incepparsi a ogni cambiamento della mano sinistra. Ancora: quando suoniamo dei cambi di corda è importante pensare al movimento che la spalla fa per modificare la corda che suona (più alta sul sol, più bassa sul mi); in questo caso, per esempio, si può eseguire sulle sole corde vuote.
Dopo aver capito come funziona un pezzo (ritmo, note, arcate e diteggiature...) proviamo sempre a ragionarci su, a pensare a ogni movimento che compiamo. Guardiamo bene la parte, ossia le note, e concentriamoci su quello che deve fare il nostro corpo per eseguirle.
Osserviamo, pensiamo e poi visualizziamo nei minimi particolari, ripassando e ripassando più volte il movimento.





ps: la visualizzazione fa bene anche per altro: ogni tanto possiamo  fermarci e "vedere" tramonti, prati verdi, acqua che scorre.... 



Dai la cera, togli la cera...

Quando si suona uno strumento indubbiamente i pensieri che si accumulano sono numerosi (condotta dell'arco, suono, intonazione, velocità, note giuste, ritmo, interpretazione.....) e spesso possono distoglierci dalla percezione del movimento che stiamo eseguendo.
Così come camminare coinvolge tutto il nostro corpo, quindi muscoli addominali e parte superiore, anche l'atto del suonare dovrebbe essere fatto "con tutto il corpo": piedi sono ben stabili e gli addominali sostengono la parte superiore che deve partecipare attivamente, ossia non essere bloccata.
Una precisazione importante: alcuni movimenti sono corretti e sottolineano il coinvolgimento del nostro corpo, altri invece sono sbagliati (di solito quelli ripetitivi come il dondolio o il piegarsi in concomitanza di una arcata).
Per intenderci: non serve muoversi come in preda al ballo di san Vito, si può anche rimanere fermi, l'importante è che i movimenti siano sciolti e partano dal corpo, dal respiro.
"Dài la cera, togli la cera": perché? Nel film "Karate Kid", che a me è rimasto impresso per questo, il maestro insegnava all'allievo la tecnica del karate partendo appunto dal movimento: non pensare alla mossa di karate, ma al movimento.
"E non dimenticare il respiro".
Due esempi banali: se devo prendere un oggetto che sta su un armadio e mi concentro sul fatto che è lontano, il braccio si irrigidisce; se invece allungo il braccio pensando sono all’allungamento di muscoli e tendini, sarà più facile arrivarci. Se devo aprire un barattolo che non si apre e continuo a forzare non si aprirà mai; se invece mi fermo, lascio la mano morbida sul tappo e aspetto... nel momento giusto, con decisione, il tappo si aprirà.
Nel violino può essere lo stesso: proviamo a visualizzare una arcata, proviamo a pensare al movimento del braccio, della spalla, al respiro.... l'arcata verrà di conseguenza. Magari all’inizio storta, ma ci sarà il tempo per correggerla e di nuovo storcerla con il movimento, fino a quando le due azioni si bilanceranno.
Visualizziamo la nostra immagine, ripetiamola senza lo strumento, e poi suoniamo.
Anche quando suoniamo, pensiamo sempre al movimento, soprattutto a quelli fondamentali: l'articolazione della spalla destra che si muove verso l'alto (quando l'arco è sul sol) o verso il basso (arco sul mi); l'articolazione della spalla sinistra che si muove verso l'interno per suonare il sol e verso l'esterno per il mi. Insomma... suonare può diventare un battito di ali.






L'elogio della lentezza

"Una delle chiavi della padronanza delle arti marziali è che anche il movimento più rapido deve essere generato da una mente calma e riflessiva".*




Per me la lentezza è la soluzione migliore per affrontare lo studio di un brano.
Ma... cosa si intende per lentezza? Io forse la definirei "il tempo che ognuno di noi ha, dentro di sé, per fare le cose con calma, nel presente". Ognuno di noi ha un ritmo differente, che si può notare dalla camminata, dal respiro, dal battito cardiaco, dalla velocità con la quale battiamo il tempo su un tavolo. La difficoltà sta nel capire quale è, senza fretta e senza ansia.
Possiamo camminare velocemente, perché crediamo sia tardi, oppure lentamente, assaporando i passi, osservando quello che ci circonda e ascoltando il respiro. Possiamo fare qualsiasi azione con il ritmo giusto, ossia essendo presenti e concentrati sul presente, oppure presi da una fretta che per la maggior parte delle volte è data da noi stessi e non da eventi reali. Lo so, mi ripeto nelle cose che dico.
Sullo strumento studiare lentamente significa rallentare al massimo la condotta dell'arco e la caduta delle dita, in modo da avere la totale consapevolezza di quello che facciamo.
Studiamo un qualsiasi brano più lentamente possibile, facendo attenzione a tutto quello che riteniamo importante: l'arco (dritto, appoggiato, cambio morbido) e sinistra (caduta delle dita, intonazione).
Per quanto riguarda l'arco di solito si tende a preferire la velocità e lo "spolverare la corda" alla lentezza e all'appoggio. Proviamo a concentrarci costantemente al braccio che scarica il peso sulle corde.
La mano sinistra deve essere ferma (non rigida) e le dita devono cadere morbidamente sulle corde, senza eccessivo sforzo: io penso alla caduta sulle corde e non sulla tastiera. E, più importante di tutto, il dito deve cadere con la massima fermezza, senza fare quella che io chiamo la "scivolarella": se è sbagliato si alza e si corregge, ripetendo più volte in modo corretto. Correggere continuamente il dito in fase di caduta è dannoso e non serve né all'intonazione né alla stabilità della mano.

Lentamente significa..... molto, molto, molto lentamente.


*http://pensarealnaturale.blogspot.it/2011/03/nella-tua-pazienza-e-la-tua-anima.html?spref=fb

Il violino interiore (recensione)

Dominique Hoppenot
"Il violino interiore"
Cremonabooks, pagine 191, euro 19




“Il violino interiore” è tutto quello che riguarda il nostro rapporto con lo strumento, fatto di studio, costanza, attenzione alla tecnica, ma soprattutto di una grande passione, di “una lunga storia d’amore”.
Dominique Hoppenot (1925-1983), docente conosciuta in tutto il mondo, ha lavorato in particolare sugli aspetti psicologici e fisici relativi allo studio degli strumenti ad arco.
Il libro parte da una importante constatazione: la relazione triste e dolorosa che molti musicisti hanno con il proprio strumento, fonte di frustrazioni, paure e angosce. La relazione con lo strumento, attraverso un percorso interiore, deve invece arrivare ad essere espressione di se stessi, della musica che sentiamo dentro e di quello che possiamo trasmettere, a qualsiasi livello, dal professionista al dilettante. Lo scopo del suonare è sentire la musica ed esprimerla con il violino, che diventa appunto strumento per esternarla. Intonazione, sonorità, ritmo ed espressione devono essere prima interiorizzati e poi applicati allo strumento, alla tecnica strumentale che, se non ha una base solida dentro di noi, diventa solo inutile ricerca, sterile e fine a se stessa. L’autrice si sofferma molto, infatti, sul rapporto con lo strumento ma soprattutto con il proprio corpo: postura, respirazione, rilassatezza; il primo strumento che deve essere accordato è il nostro corpo, dall’appoggio al suolo all’attenzione alla colonna vertebrale, al respiro, alla posizione delle braccia e all’equilibrio di tutte le forze che entrano in gioco quando si suona.
“La forza motrice del suonare è l’amore, che dà lo slancio, la fede, l’interesse, la costanza, senza le quali ogni iniziativa, ogni sforzo si dissolve in velleità deludenti. Amore ma anche pazienza “la pazienza deve essere così radicata in noi da infonderci una costanza d’amore che possa resistere a qualunque delusione.”
Come epilogo del libro l’autrice riporta un passaggio del romanzo “Il serpente di stelle” di Jean Giono: queste le parole del maestro all’allievo “… lasciati portare, fatti docile, lasciati vivere nella vita senza pensare che suoni il flauto e allora suonerai”.

L'esercizio principe

Mi piace molto questa espressione!




Credo che quello che nello studio non debba mancare mai sono le corde vuote (o scale) eseguite lentamente. Il suono, quello vero, corposo, appoggiato e pieno di armonici, nasce e si forma attraverso lo studio quotidiano della lentezza nella condotta dell'arco.
Già quando uno strumentista accorda si può sentire se il suono è sostanzioso o no.

Così come dice Tartini nella sua splendida lettera a Maddalena Lombardini, le "note lunghe" si devono studiare tutti i gioni. La potete trovare e scaricare qui: Lettera alla Signora Maddalena Lombardini

Io parto da arcate veloci, della durata di un battito con metronomo a 60; queste prime arcate servono per sciogliere il braccio e vanno eseguite senza peso, pensando solo alla correttezza della conduzione dell'arco (che deve essere dritto).
Poi aumento la durata, due, quattro, sei, otto, dodici....
Le note vanno eseguite cercando di appoggiare il braccio e di rimanere morbidi il più possibile. Io me lo ripeto ogni secondo, penso addirittura ai granelli di pece che si "srotolano" sulle corde.

Le note lunghe possono essere eseguite anche con diverse dinamiche: iniziando forte al tallone e finendo piano alla punta (riprendendo poi piano e andando al forte al tallone), oppure il contrario, che trovo molto utile: si inizia pianissimo al tallone, lavorando bene sulla tenuta del mignolo, e si arriva fortissimo alla punta, appoggiandosi bene sull'indice, con tutto il braccio.
Si possono fare anche dei cambi di dinamica alla metà: forte-piano-forte o viceversa.

Tutti i giorni, tutti i giorni!


Provare, provare, provare, provare, provare, provare....

In tanti anni di rapporto con il violino (e con la viola) ma soprattutto di alternanza di periodi in cui ho studiato a periodi in cui invece non ho toccato lo strumento, ho capito che gran parte dello studio giornaliero serve solo a placare l'ansia.
Che significa? Significa che se abbiamo studiato un brano, e andiamo a dormire, ci alziamo il giorno dopo con la domanda "ma verrà ancora?"Così si esegue di nuovo, e si ripete, si ripete, si ripete.... a volte in modo ossessivo.
Suonare uno strumento significa, purtroppo, non avere la sicurezza matematica che il pezzo il giorno dopo verrà (parlo di sicurezza mentale), e secondo me gran parte dello studio si spreca dietro a questa problematica.
Lo studio deve essere mirato, deve diventare una lente di ingrandimento del problema, di quello che non viene (arco, velocità, passaggio di posizione), non una ripetizione meccanica di tutto, fatta senza pensare.
Quando riprendevo lo strumento dopo molto tempo mi rendevo conto che i passaggi che conoscevo bene erano rimasti intatti, quelli che invece non sapevo bene continuavano a non venire. Quello che si studia bene, con la testa (e con il corpo) rimane, per sempre.
Quando i grandi musicisti affermano che studiano poco è perché non sprecano il loro tempo, perché studiano con la massima concentrazione.
Quindi: proviamo a prendere un qualsiasi brano, ad eseguirlo, a segnare a matita i passaggi che non vengono. Studiamo per una settimana solo quei passaggi, lentamente (secondo me il metodo di studio più efficace), ma lentamente davvero. E poi lo eseguiamo di nuovo alla fine della settimana. Ma evitiamo di ripetere meccanicamente un brano da capo a fondo, magari pensando a quello che dobbiamo fare domani e solo per avere la coscienza a posto.










Io "gioco" il violino

Spesso rifletto sull'espressione italiana "suonare" e quelle straniere “jouer” e “play”. Senza che questa riflessione diventi una polemica negativa sulla considerazione della musica in Italia, rifletto su quanto possa essere importante pensare al suonare come a un gioco.

Di sicuro lo studio di uno strumento musicale è faticoso, è un esercizio di grande volontà. Però non deve essere trasformato in qualcosa di perennemente frustrante e negativo: c’è anche il gioco e il divertimento! Cerchiamo di dare qualcosa alla musica, sempre, mentre suoniamo. Cerchiamo di ricordarci sempre della musica.
A volte siamo presi da problemi che di sicuro hanno una loro base reale (il quarto dito! la velocità!) ma non possono farci dimenticare il fraseggio di Bach o di Mozart, ma anche l'andamento di una scala, il bel suono, la piacevolezza di uno studio - anche di Curci.
Non possiamo suonare un brano musicale ossessionati da un problema tecnico. Meglio un passaggio poco pulito in un brano che abbia senso musicale, che un pensiero costante. nevrotico, che ci distrae dalla musica. Ovviamente il problema c'è e si può affrontare a parte, per un tempo determinato e con la massima precisione.

Prendete un brano che vi piace moltissimo! Non importa se non lo conoscete tecnicamente, l'importante è saperlo suonare diciamo a un 50%. Bene, provate ad eseguirlo come se fosse perfetto, immaginando il vostro musicista preferito che lo suona davanti a 5.000 persone (ovviamente non avete pubblico, altrimenti arriva la paura dell’esibizione). Sbagliate le note, inventatevi le arcate, le diteggiature, ma mantenete tutto quello che è musicale: ritmo, fraseggio, dinamica e la musica! Immaginate, immaginate, immaginate: voi siete Perlman che suona divinamente, sciolto, morbido e soprattutto... sorridente! Ma dovete essere lui, senza mentire!
E divertitevi anche sbagliando!

Non parlar di corde.... ultima parte


Ecco l'ultima parte dell'articolo. Ringrazio ancora Andrea Scaramella per il prezioso contributo!



La D’Addario in seguito cominciò a sfornare novità interessanti: le Helicore per esempio sono le uniche corde con l’anima in multifilamento metallico che abbiano un suono paragonabile a quelle con anima sintetica. Tuttora restano tra le mie preferite assieme alle Evah Pirazzi sulla viola, ma non posso dire altrettanto sul violino per il loro suono un po’ troppo monotono come colore, la loro elevata tensione tale da “schiacciare” lo strumento riempiendolo di wolf tone, la scarsa durata dovuta in qualche caso la fragilità sia dell’anima che del filamento che la avvolge. Un vero peccato perché tutte le altre caratteristiche sono di rilievo (potenza, prontezza e varietà dinamica).





Un capitolo a parte erano le Zyex prima versione, costruite con l’anima in un nuovo materiale composito denominato appunto Zyex. Estremamente sonore sotto le orecchie (e piuttosto faticose per l’arco!), ma dal suono piuttosto “vuoto”di armonici, avevano una stabilità nell’accordatura incredibile: dopo qualche giorno di assestamento non si aveva più bisogno di accordare per un mese intero! Peccato che la loro elevatissima tensione ed elevata rigidità ne comprometteva il rendimento e la gamma dinamica (ed anche la mia mano sinistra!). In ogni caso assai più durature delle precedenti Helicore. Di recente sono state prodotte in una nuova versione, con minor tensione della precedente (meno male!) e mi sono ripromesso di provarle in futuro sia sul violino che sulla viola.
Successivamente ebbi modo di testare due nuovi (e ultrapubblicizzati) prodotti della Pirastro: le nuove Passione e Passione Solo, reclamizzate come le corde in budello più stabili in assoluto nell’accordatura, ma in realtà solo un po’ più stabili. Se le prime davano una discreta soddisfazione (suono che “corre”, buona qualità degli avvolgimenti e durata 4 mesi buoni, buona reattività e grande quantità di armonici sia pur con un rendimento generale un pò inferiore alle Oliv) ma ad un prezzo elevato, le seconde erano abbastanza “terribili” e ancor più care. Questa versione Solo era in realtà la versione rigida delle Passione normali, ne più ne meno di ciò che accadeva con le Eudoxa o le Oliv con la versione Stiff. Tale rigidità, diversamente dalle Eudoxa o dalle Oliv, comprometteva drasticamente la prontezza di emissione allo scopo di avere un po’ più di volume sonoro. Il risultato era più o meno simile a quello delle Kaplan Golden Spiral Solo, con la differenza che le Passione Solo costavano più del doppio: ne valeva la pena? Ritenni proprio di no. Tale differenza di rendimento dalle vecchie Oliv era dovuto alla nuova anima in budello di vacca, vista ormai l’impossibilità generalizzata di reperire budello di agnello sul mercato. Il budello di vacca è più scuro di tinta, tendenzialmente più fibroso e meno elastico del budello di agnello, e ciò sicuramente influisce sul rendimento finale delle corde. In sintesi più stabili di accordatura rispetto la vecchia generazione di corde in budello, ma non più allo stesso livello in termini di rendimento sonoro.
Dopo esser tornato alle solite combinazioni Dominant-Jargar e Dominant-Westminster, per me molto soddisfacenti, ho recentissimamente testato due nuovissimi prodotti: le Peter Infeld della Thomastik (dette comunemente PI Greco), e le Dogal Capriccio dell’ omonimo produttore di corde veneziano.
Le prime si sono rivelate incredibili per alcune loro caratteristiche: posso affermare con certezza di non aver mai provato corde più pronte e reattive di queste! I passi veloci diventano una sciocchezza e l’articolazione della mano sinistra non è più un problema. Hanno una definizione del suono notevole, e sono veramente un significativo passo in avanti rispetto le precedenti Vision, anche se forse hanno leggermente meno armonici delle Dominant. Nulla si sa sulla loro costruzione e sui materiali, ma vengono pubblicizzate come la prima serie di corde di una nuova generazione: personalmente non credo che l’anima sia in fibra di carbonio come le Vision e le varie Evah, Obligato etc. Inoltre si distinguono per il Mi placcato in platino pubblicizzato come l’ultimo urlo a livello tecnologico, e che effettivamente ha un suono molto ricco di armonici, anche se non molto potente e tendente ogni tanto a fischiare. Sotto le dita risultano morbide, elastiche e abbastanza levigate, senza sembrare troppo tese come le Titanium Solo pur avendone pressappoco la stessa tensione. Per contro, al pari delle Evah Pirazzi, hanno un costo molto elevato (il Mi in platino costa un botto!), ma si salvano per una durata di circa tre mesi o quattro mesi di uso intensivo, dopodiché il loro rendimento ha una caduta letteralmente verticale come le Vision e le Evah.
Le seconde pure sono state una piacevolissima sorpresa: commercializzate in 2 versioni, Orchestra e Solist, hanno l’anima in Syntethic Gut, una fibra utilizzata per la produzione di corde nautiche, e si sono rivelate, sia pur con qualche difetto di gioventù riguardate il bilanciamento complessivo della muta prontamente segnalato al gentilissimo produttore, estremamente robuste e durature. Assai elastiche, nonostante esse siano piuttosto rigide prima di essere montate, hanno una potenza ed una gamma dinamica incredibili, un suono piuttosto scuro ricco di armonici e dalla grande proiezione, una ottima definizione di suono e articolazione nei passi veloci: con queste corde gli armonici non falliscono mai! Di durata abbastanza elevata come le precedenti PI, sono sicuramente le corde più potenti che abbia provato fino ad adesso: ho per il momento provato la versione Orchestra, la versione Solist dovrebbe essere ancora più sonora. Inoltre sono le corde più lisce e levigate in circolazione, il che le rende assai poco sensibili al sudore permettendo così cambi di posizione fulminei! Trovo che abbiano un tipo di utilizzo piuttosto “estremo”, visto che tendono ad essere leggermente aspre come timbro e quindi orientate (nonostante la versione si chiami Orchestra) ad un uso prettamente solistico, ma ciò non mi dispiace affatto. Come unico neo forse non sono adatte a tutti gli strumenti, specie a quelli che non tollerano tensioni elevate.
A tal proposito, alcuni liutai ritengono che l’uso intensivo di queste nuove corde dalla elevata tensione e dal grande volume sonoro porti ad usurare precocemente gli strumenti stressandone la catena. Per questa ragione ho personalmente preferito abbassare il ponticello del mio violino di circa un mm allo scopo di permettere il l’uso di queste corde più tese e sonore. Ciò si è rivelato determinante nell’ottimo rendimento sia delle Dogal Capriccio sia delle PI.
Ultimamente mi sto quindi rivolgendo all’uso di tre tipi di corde: alle intramontabili Dominant, che trovo estremamente “cantabili” se accostate al giusto Mi, alle nuove Thomastik PI (senza il Mi in platino!) per la loro estrema facilità di emissione, chiarezza in ogni situazione e degne sostitute delle precedenti, ed alle Dogal Capriccio, votate in tutto e per tutto al repertorio virtuosistico.
Non ho per ora voluto testare ne le Larsen Tzigane (anima in carbonio) ne le nuovissime e costosissime Evah Pirazzi Gold: le prime, in base ad un filmato di un test di varie corde su di uno stesso violino visionabile su youtube, sembrano nasali e dal suono piuttosto piccolo; le altre, ascoltate su un altro video di presentazione, non mi hanno allo stesso modo entusiasmato, risultando timbricamente piuttosto vuote all’ascolto. Entrambe sembrano durare poco (circa un mese) secondo i vari thread posti sul solito blog violinistico americano. L’indice di qualità delle corde, ancora una volta, ritengo sia dato dai solisti: le corde più usate restano le Evah Pirazzi, che garantiscono 2 mesi di rendimento, le Dominant (dai 2 ai 3 mesi) e ora le PI, che hanno una durata superiore delle due precedenti, alle quali molti sono passati recentemente (Kavakos, Sarah Chang, il grande violinista recentemente scomparso Ruggiero Ricci.)
Non credo che a questo punto le successive evoluzioni siano finite.
In base alle notizie dei soliti ben informati, alcuni solisti si fanno costruire dalla Pirastro o dalla Thomastik corde su misura per le loro esigenze. Vengerov monta una versione speciale delle Evah Pirazzi costruite apposta per lui, Sarah Chang sembra stia usando un Sol ed un Re versione evoluta delle Thomastik PI, che pare siano il prototipo di una futuro prodotto che la Thomastik intende immettere sul mercato.
In conclusione l'attuale disponibilità di corde sul mercato era praticamente impensabile fino a qualche anno fa, limitata alle Dominant, Oliv, Eudoxa e alle rarissime Kaplan e Corelli: oggidì si trovano corde di tutte le qualità e di tutti i prezzi, adatte alle più disparate esigenze.
E la tecnologia odierna ci ha portato più vicini a raggiungere le caratteristiche della corda ideale: lunga durata, profondità e definizione di suono, grande ricchezza di armonici, grande gamma dinamica, varietà di colore sonoro e reattività nei passaggi veloci, facilità di emissione in qualsiasi condizione.


Fine

Non parlar di corde.... in casa del violinista-seconda

ecco la seconda parte dell'articolo sulle corde scritto da Andrea Scaramella


La maggioranza dei miei colleghi erano violinisti d’orchestra, e il loro lavoro li portava a cercare un tipo di suono comunque lontano dai miei ideali e dalle mie esigenze, in realtà assai più vicini al suono di un solista o di un camerista. Per il violinista d’orchestra cercare l’amalgama e la fusione del proprio suono con quella del compagno di leggio e con i colleghi della propria fila è un “must” e questo condiziona non poco la scelta delle corde. Quindi corde come le Obligato o le Infeld Rosse o le Vision Titanium Orchestra possono sembrare il massimo in tal senso, ma nel momento un cui ci si ritrovava a suonare in pochi o a far musica da camera (cosa che a me capitava spesso), a mio modo di sentire esse fallivano miseramente per il suono debole “che non corre”, poco corposo e sfocato che ne derivava, specie nei passi veloci.


All’acquisto del mio primo strumento veramente importante feci così ulteriori esperimenti ed ebbi anche qui modo di testare gratuitamente una muta per violino delle nuove Larsen in perlon prodotte dalla omonima ditta. Se dapprima mi sembrò di aver trovato finalmente un prodotto superiore alle Dominant, dall’emissione pronta in tutta la gamma dinamica dal pp al ff, tale euforia durò poco più di due settimane. Sia il Sol che il Re non davano più quel bel suono brillante e corposo dell’inizio, il Re in alluminio risultava la corda più debole di tutta la muta, ed in generale il suono era divenuto assai più spento e con meno armonici di quando le avevo appena montate. Mi informai anche sul prezzo e alla fine, valutando la maggior spesa e la assai minor durata, il gioco non valeva proprio la candela. Veramente un peccato!
Ebbi anche un’altra occasione di test dalla Savarez, che mi mandò in prova una muta delle loro nuove Alliance Vivace in kevlar. Se rispetto la prima edizione queste erano di qualità migliore negli avvolgimenti e di grande durata, la tensione era aumentata nel tentativo di avvicinarsi alle caratteristiche delle Evah Pirazzi (anche come costo), seppur trovassi il suono un pò più sfocato e con meno armonici rispetto queste ultime. Mi ripromisi di provarle in futuro in versione più sottile con tensione minore, ma ancora non l’ho fatto.
Visti i tentativi infruttuosi di trovare corde che mi soddisfacessero veramente, cominciai allora a guardarmi in giro su internet alla ricerca di informazioni, dapprima guardando i video dei vari solisti del momento che mi piacevano (Vengerov, Perlman, Shaham, Joshua Bell, Anne-Sophie Mutter etc…) per vedere cosa usavano. E, tranne due affezionati alle costosissime e problematiche Pirastro Oliv (Viktoria Mullova e Frank Peter Zimmermann) e altri due alle Vision Titanium Solo (Kavakos e Zukerman), nessuno si discostava dalle Dominant o dalle Evah Pirazzi.
Le differenze tra le corde di tutti questi solisti si concentravano nei calibri (Shaham usava il Re stark della Dominant), e soprattutto nella scelta del Mi.
Questo fattore era da me sempre stato sottovalutato fino a quel momento: tanti di loro usavano il Goldbrokat 0.26mm (giallo) e 0.27mm (verde), altri il Westminster 0.26mm (viola) o 0.275mm (nero), altri il Pirastro Gold (quello che avevo sempre usato io fino a quel momento), altri ancora il Kaplan Golden Spiral Solo, oppure il Mi placcato in oro (Pirastro Oliv o Evah Pirazzi).
Mi venne pure in mente il suggerimento di un mio grande e bravissimo insegnante russo che era completamente “votato” al Mi Jargar forte, usato pure da Hilary Hahn e da Repin.
Incrociai le informazioni così ottenute con quelle che trovai su un noto blog violinistico americano e, grazie ad un paio di interessantissimi thread, uno riguardante le combinazioni di corde usate dai solisti del passato e di oggi, ed un altro riguardante le caratteristiche di quasi tutte le corde presenti sul mercato, mi lanciai in nuovi esperimenti.
Volli così cimentarmi nel provare tutti i Mi possibili ed in tutti i calibri, facendo così una scoperta per me importantissima: a seconda della elasticità e della tensione del Mi, il timbro e la potenza di tutto il violino cambiano in modo radicale. Più elastico è il Mi e più scuro diventa lo strumento, più teso è il Mi e più potente diventa.
Trovai così una combinazione sul mio violino che funzionava a meraviglia: 3 Dominant con il Re in argento e Mi Jargar forte. Tale combinazione mi garantiva un perfetto equilibrio timbrico e dinamico sulle 4 corde, buona reattività e facilità di emissione, grande dinamica e grande dolcezza di timbro allo stesso tempo, cosa quest’ultima che mi era sempre un po’ mancata da quando avevo abbandonato le Oliv.
Avevo così raggiunto quasi il mio ideale di suono.
Oggi, per esempio, cambio il tipo di Mi a seconda di cosa devo suonare: nel repertorio barocco o classico, dove si richiede brillantezza soprattutto, monto il Goldbrokat 0.26mm o il Dogal Marchio Blu (indistruttibile!) o l’Oliv dorato medio (forse un po’ problematico perché tende fischiare, ma sai che soddisfazione suonare gli Uccellini della Primavera di Vivaldi con il suono letteralmente celestiale che questo Mi emette?). Nel repertorio romantico da camera da Beethoven in poi, dove si richiede potenza e morbidezza allo stesso tempo, monto lo Jargar forte; se invece devo suonare da solista il Westminster nero è imbattibile, peccato sia difficilissimo da trovare. In questo caso l’alternativa degna di nota è l’Evah Pirazzi forte in oro o il Kaplan Golden Spiral Solo 0.27mm.
Ho escluso tutti i Mi fasciati per molti buoni motivi: se generalmente essi fischiano meno dei Mi nudi (unico vero vantaggio), essi hanno sempre un po’ meno armonici, si rompe facilmente la loro fasciatura, sono meno duraturi e sonori, sono meno reattivi e presentano generalmente un suono un po’ più sfocato (Pirastro  n°1, Kaplan Solution, Spirocore, Dominant versione fasciata).
Fino ad allora mi ero accorto di aver quasi sempre trascurato le corde della D’Addario, a me nota solo per aver rilevato la produzione delle Kaplan Golden Spiral in budello, corde ormai andate in disuso ma che nei loro tempi d’oro avevano riscosso notevole successo (erano le preferite da Kogan, Stern, Michael Rabin e Zino Francescatti). Mi sono tolto lo sfizio, qualche tempo fà di provare anche queste: molto potenti, molto scure con buona ricchezza di armonici, abbastanza stabili nell’accordatura per essere corde in budello e dalla tensione piuttosto alta, ma con una inerzia ad entrare in vibrazione assai elevata. Inoltre la loro costruzione era a quei tempi piuttosto approssimativa, non tanto per la qualità del budello, a mio giudizio il migliore ed il più robusto in assoluto, quanto per gli avvolgimenti delle corde, soggetti soprattutto nel Re in argento e nel La in alluminio a sfilacciarsi e rompersi con facilità.
Naturalmente il progresso avanza, e da quel tempo ad oggi altre novità si sono ulteriormente affacciate sul mercato.
(Segue)

Non parlar di corde... in casa del violinista!



di Andrea Scaramella

Andrea Scaramella è un caro amico e da sempre chiedo consiglio a lui sul violino... e sulle corde!
Ho deciso di dedicare qualche post proprio a questo argomento così interessante.
Lascio a lui la parola e lo ringrazio per il prezioso contributo.

 

La mia ossessione giovanile era quella delle corde in budello: “il suono che puoi avere con quelle è il migliore” mi dicevano tutti, il mio insegnante di conservatorio in testa.
I miei ideali di suono a quel tempo erano (e lo sono tuttora) Oistrakh, Milstein, Gulli ed Uto Ughi. Ed ognuno di loro usava le Pirastro Eudoxa.
Quindi sul mio violino di allora, appena le mie finanze me lo permisero, montai le Pirastro Eudoxa Stiff senza indugio. Ma il suono che ne derivava non era proprio quello che volevo, lo trovavo piuttosto scuro e poco definito. Inoltre dovevo articolare i passaggi veloci con fatica ed accordare in continuazione, soprattutto se le avevo montate da poco. Avevo poi notato un certo “cedimento” nel volume dopo un paio di mesi di uso ed il La presentava problemi di emissione, visto che “gracchiava” ad ogni arcata pesante. Insomma non erano un passo in avanti significativo rispetto le solite Thomastik Dominant, corde con l’anima in perlon, che montavo precedentemente.
Pensai allora alle costosissime Oliv, e dopo avere deglutito abbondantemente per lo spavento dovuto al loro prezzo, mi decisi ad acquistarle. Naturalmente seguii i suggerimenti del mio insegnante di conservatorio : “spessori grossi, Sol Stiff e Re in argento” recitava sicuro di se. Queste corde erano molto più sonore, brillanti e reattive delle precedenti, e anche in termini di durata erano superiori, il che bilanciava non poco l'assai più elevato prezzo di acquisto.
Complice una buona messa a punto dell’anima e del ponte, fui molto contento per un discreto periodo fino a quando un malaugurato giorno mi si ruppe un Sol dopo un paio di settimane. Ne montai un altro subito, ma anche questo fece la stessa fine dopo altrettante due settimane. Al terzo doloroso “salasso” che durò poco di più dei due precedenti, decisi di chiudere, con qualche rimpianto, la mia esperienza con le Oliv. Sfortunatamente la qualità dell’anima in budello di queste corde non era più la stessa e le rotture diventavano piuttosto frequenti.
E da lì cominciai una lunga ricerca.
Da allora sono passati molti anni, e le prove sono state parecchie: ciò mi ha portato a testare tutti i tipi possibili di corde sui miei violini, con l'eccezione di un paio di ultime novità.
La Pirastro aveva tentato di contrastare la principale avversaria Thomastik, dominatrice del mercato con le Dominant, lanciando prima le Synoxa e poi le Tonica, evoluzioni successive delle pietosissime Aricore. Si trattavano sempre di corde con l'anima in perlon: bocciate le Aricore (afone e senza armonici) e le Synoxa (più brillanti ma dal suono poco corposo e poco durevoli) da parte mia, per un breve periodo trovai pace con le Tonica che mi sembravano un giusto compromesso tra morbidezza, reattività, suono potente e scorrevole. Ma restavano un compromesso, non certo il massimo possibile e comunque lontane dal mio suono ideale.
Altre concorrenti delle Dominant e delle Tonica era le Corelli Crystal e le Alliance (prima versione) della Savarez, le prime con l’anima in un altro derivato del perlon (stabilon), le seconde con l’anima in kevlar, vera novità. Pur avendo entrambe una corposità di suono superiore alle 2 precedenti, mancavano di elasticità per via della loro esagerata tensione (ciò che dava corposità al suono) rendendo assai problematica l’articolazione dei passaggi veloci. La quantità di armonici era inferiore alle Dominant nel caso delle Crystal, invece abbastanza vicina per le Alliance. Anche l’avvolgimento di tutte queste corde, di qualità inferiore alle concorrenti, si ossidava molto facilmente e deteriorava rapidamente sotto l’azione del sudore delle dita. Le Alliance inoltre erano molto care.
In seguito, la prima vera novità prodotta dalla Thomastik; dopo anni di Dominant sul mercato, vengono lanciate le Infeld con l'anima in kevlar in 2 versioni: Rosse (suono scuro) e Blu (suono brillante). Per qualche tempo le usai entrambe, concludendo alla fine che le Rosse erano gradevolissime sotto l'orecchio, ma ascoltate da lontano piuttosto deludenti poichè il suono non “correva”, mentre le Blu erano esattamente il contrario: più sgradevoli sotto l'orecchio ma con una buona portata per l'ascolto da lontano. In entrambi i casi notavo che la quantità di armonici che emettevano erano inferiori rispetto alle precedenti Dominant, e così pure la durata per cui ero punto e da capo.
La Pirastro annunciò a quel punto una novità, con grande battage pubblicitario: le Obligato! Grande mistero della casa produttrice sul materiale impiegato per l’anima e grande novità del Re in argento! “Sai che novità!!” dico io: il Re in argento esiste da anni sulle Dominant…
Tutti i colleghi correvano a comprarle, ma sentendo il suono che producevano sui loro violini restavo piuttosto scettico. Difatti, recuperata gratuitamente una muta dal servizio clienti della Pirastro, rimanevo deluso dalla povertà di armonici che queste corde emettevano: in breve non differivano molto dalle Infeld Rosse, pur essendo molto più care.
La Pirastro iniziò da quel momento a sfornare derivati simili, sempre basati sullo stesso materiale (o multifilamento come lo definiscono loro) e stessa tecnologia: le famose Evah Pirazzi (potentissime, brillanti ma molto rigide, assai tese e poco durevoli), le Violino (ancora più morbide delle Obligato ed abbastanza simili alle Aricore), ed infine le Wondertone Solo, una via di mezzo tra le Obligato e le Evah Pirazzi, forse le migliori tra le quattro. In tutti questi casi sul mio violino il loro rendimento era inferiore per qualità e portata di suono, e per durata rispetto le Dominant. “Dopo averle provate tutte, sempre alle Dominant si ritorna!” recita un detto piuttosto comune tra i violinisti.
La Thomastik non restò a guardare: dopo 2 anni di test intensivi vennero lanciate le Vision, con anima in fibra di carbonio, in ben tre versioni: normale, Titanium Solo e Titanium Orchestra.
A queste tre versioni se ne aggiunse un paio d’anni dopo la versione Solo, giusto per fare un po’ di confusione. Ebbi modo di avere una muta omaggio delle Vision normali dal reparto Materiali e Ricerca della Thomastik ancora prima della loro commercializzazione, e finalmente rimasi soddisfatto del loro rendimento, tanto da acquistarle successivamente. Avevo l’impressione di aver trovato qualcosa di alternativo alle Dominant, altrettanto durevoli e con ottima qualità di suono, ben definito e focalizzato (finalmente!), e con notevole prontezza e reattività nei passi veloci.
Ma la muta successiva fu invece deludente: la disparità di rendimento tra la versione “prototipo” e la versione commerciale era notevole, specie per la durata. Scoprii così che le versioni prototipo delle corde vengono sempre realizzate a mano dal tecnico che ne cura lo sviluppo, diversamente dalle versioni commerciali che sono realizzate a macchina con minor cura. E ciò fa la differenza.
Provai quindi le altre tre versioni ed effettivamente sia le Vision Titanium Solo che le Vision Solo, ma non le Titanium Orchestra (mamma mia che confusione!), risultavano migliori delle Vision normali, le prime più metalliche e brillanti, le seconde più scure, entrambe dal suono potente, molto focalizzato e definito e con una durata accettabile. Per contro non concedevano raffinatezze di emissione e di colore che le Dominant permettevano, e costringevano, al pari delle varie Evah Pirazzi, Obligato e Wordentone Solo, ad un maggior sforzo con l’arco e a tutto ciò che ne conseguiva: arco più teso, pece più adesiva, crini rotti con maggior facilità. Le Titanium Orchestra erano le meno focalizzate del lotto e con meno armonici, con un suono piuttosto deludente ascoltando da lontano in sala da concerto.
Alla fine avevo constatato che il suono risultante di tutte queste corde testate era comunque lontano dai miei ideali giovanili, ma osservavo che anche nel gusto dei musicisti e specificatamente dei violinisti stava cambiando.
(Segue)






Dove l'acqua si ferma

"... vedete lì, dove l'acqua arriva... sale sulla spiaggia e poi si ferma... ecco, proprio quel punto, dove si ferma... dura proprio solo un attimo, guardate, ecco, ad esempio, lì, vedete che dura solo un attimo, poi sparisce, ma se uno riuscisse a fermare quell'attimo... quando l'acqua si ferma, proprio quel punto, quella curva... è quello che io studio. Dove l'acqua si ferma.
("Oceano Mare" Alessandro Baricco, ed. Feltrinelli, pag. 33).

L'attimo impercettibile in cui si ferma l'acqua; o in cui una palla rimbalza; gli intervalli tra le parole (che sembrano un tutt’uno ma non lo sono); o ancora il respiro.
Quando si suona è lo stesso: c'è un momento impercettibile, quasi sospeso, in cui il suono sembra fermarsi anche se in realtà non si ferma. C'è un momento in cui il suono potrebbe risuonare all'infinito...
Bisognerebbe suonare pensando sempre a questo momento, respirando, aspettando fino all'ultimo istante, fino a quando "il suono si ferma". C'è tempo, non c'è fretta. Ogni nota può essere gustata fino alla fine, senza l'ansia di quella successiva.
Si deve suonare facendo attenzione a "quello che c'è fra una nota e l'altra", il momento più importante. Più si lavora su questo più aumenta la consapevolezza del mondo nascosto che c'è tra le note.











La rotazione del braccio destro

La rotazione dell’avambraccio è strettamente collegata al peso del braccio e alla produzione del suono. Il braccio ruotato permette prima di tutto il movimento del polso che, in questa posizione, è sciolto e libero (il nostro polso si muove più facilmente dall’alto al basso che da destra a sinistra). La rotazione, inoltre, permette sia di tenere l’arco sia di appoggiarci su questo, soprattutto quando suoniamo alla punta.
Tutto il peso del nostro braccio, in questo modo, si scarica sull’indice - come dicevo in un altro post, tenuto dalle corde e dal pollice.
Per capire e osservare bene quanto ruotare, senza la preoccupazione del suono, si possono fare degli esercizi con una matita oppure tenendo l'arco con la mano sinistra, come se fosse un'altalena. Poi si può passare, sempre senza suonare, appoggiando l'arco alla metà e concentrandosi sul peso del braccio: spalla, braccio, indice. Più aumenta il peso più i crini toccano la bacchetta. I punti fondamentali sono l'indice e il pollice,  che esercita quella che si chiama contropressione.


Pubblico alcune foto che ho scelto per la chiarezza della posizione.


In questa bellissima foto di Heifetz si vede la rotazione del braccio.


Qui invece Slomo Mintz allunga l'indice, segno dell'appoggio dell'arco.... è come se "spalmasse" il suono


Infine una bellissima foto di Perlman giovanissimo!













Il "presente" è un dono

Tutti noi viviamo il presente con la preoccupazione del futuro e la pesantezza del passato che ci condizionano in modo eccessivo. Raramente ci godiamo l'attimo, che soffochiamo spesso facendo più cose contemporaneamente (mangiare, camminare, parlare, cellulare, computer...).

Nello studio di uno strumento credo sia importante proprio concentrarsi su quello che si fa, su un aspetto musicale alla volta: bellezza del suono, condotta dell'arco, caduta delle dita, intonazione, velocità...
Ci sono grandissimi strumentisti che studiano poche ore al giorno, proprio perché lo fanno in modo molto concentrato e con un obiettivo specifico da raggiungere. Lo studio deve essere quindi sempre consapevole, mai meccanico o ripetitivo.
Un allievo mi raccontava di studiare le corde vuote leggendo.... forse a quel punto conviene posare lo strumento e leggere.
Non è facile rendere ogni giorno diverso uno studio che è ripetitivo come quello di uno strumento. La nostra abilità sta proprio nel trovare sempre spunti e obiettivi diversi.

In fondo è così come si vive la vita stessa: c'è chi si sente nella ruota del criceto chi invece apre la finestra la mattina curioso di sapere come andrà la giornata.



"Ti preoccupi troppo di ciò che era e di ciò che sara’. C’è un detto: ieri è storia, domani è mistero, ma oggi è un dono ed è per questo che si chiama presente" (il saggio Oogway, la tartaruga, maestro di Kung Fu, parla a Shifu, il panda rosso- dal film Kung Fu Panda)












Pessoa: "Il violinista pazzo"

Fernando Pessoa
"Il violinista pazzo"

Non fluì dalla strada del nord
né dalla via del sud
la sua musica selvaggia per la prima volta
nel villaggio quel giorno.

Egli apparve all' improvviso nel sentiero,
tutti uscirono ad ascoltarlo,
all' improvviso se ne andò, e invano
sperarono di rivederlo.

La sua strana musica infuse
in ogni cuore un desiderio di libertà.
Non era una melodia,
e neppure una non melodia.

In un luogo molto lontano,
in un luogo assai remoto,
costretti a vivere, essi
sentirono una risposta a questo suono.

Risposta a quel desiderio
che ognuno ha nel proprio seno,
il senso perduto che appartiene
alla ricerca dimenticata.

La sposa felice capì
d' essere malmaritata,
L' appassionato e contento amante
si stancò di amare ancora,

la fanciulla e il ragazzo furono felici

d' aver solo sognato,
i cuori solitari che erano tristi
si sentirono meno soli in qualche luogo.

In ogni anima sbocciava il fiore
che al tatto lascia polvere senza terra,
la prima ora dell' anima gemella,
quella parte che ci completa,

l' ombra che viene a benedire
dalle inespresse profondità lambite
la luminosa inquietudine
migliore del riposo.

Così come venne andò via.
Lo sentirono come un mezzo-essere.
Poi, dolcemente, si confuse
con il silenzio e il ricordo.

Il sonno lasciò di nuovo il loro riso,
morì la loro estatica speranza,
e poco dopo dimenticarono
che era passato.

Tuttavia, quando la tristezza di vivere,
poiché la vita non è voluta,
ritorna nell' ora dei sogni,
col senso della sua freddezza,

improvvisamente ciascuno ricorda -
risplendente come la luna nuova
dove il sogno-vita diventa cenere -
la melodia del violinista pazzo.