Si... può... fa-re!

Suonare rilassati!
Si può suonare il violino avendo un corpo morbido e rilassato; basta lavorarci quotidianamente, come fa chi medita o pratica training autogeno.

Intanto si parte dalla postura, a prescindere dallo strumento. Impariamo ad avere gambe ben solide, ad appoggiarci sempre su entrambe e a non assumere posizioni assurde con piedi o anche storte; evitiamo per esempio di stare solo su una gamba. Poi a rendere forti i muscoli addominali che, automaticamente, alleggeriscono il carico su collo e spalle, per loro natura spesso tese e rigide. Con il passare degli anni tendiamo tutti piegare la schiena, caricando (fisicamente e moralmente) tutto sulla parte alta (collo-spalle), con conseguenze abbastanza spiacevoli quali torcicollo e storture varie. Homo erectus! Non gobbus!

Si parla spesso di appoggio, di spalmare il suono, di lasciare andare e così via. Non è facile tutto questo! Ci si appoggia su un letto o un divano, si spalma più facilmente la nutella e ci si lascia andare al mare, o dove preferite (le terme?). Quindi ci si deve lavorare giornalmente, come lavarsi i denti, mangiare, lavorare... Ogni giorno dedichiamo una parte dello studio alla postura, alla rilassatezza e alla morbidezza, a un approccio morbido al violino. Ripeto, lavoro che conosce bene chi medita.


Passiamo poi allo strumento.
Kato Havas dà delle indicazioni davvero illuminanti a proposito. Vi consiglio vivamente di leggere i suoi libri e di vedere i video su youtube.
Io di solito prendo il violino con la mano destra e lo appoggio sulla clavicola-spalla sinistra. Perché con la destra? Perché questo permette di lasciare morbida e bassa la spalla sinistra che, altrimenti, si alzerebbe. Quindi: spalla morbida, collo rilassato; alzo leggermente la testa reclinandola indietro, appoggio il violino e la riabbasso. Mi raccomando: il violino va appoggiato sul corpo, non siamo noi che ci adattiamo a lui tentando invano un appoggio con movimenti inconsulti. Vedo spessissimo colli che si allungano in avanti per cercare il violino: questo movimento porta a un mancato allineamento della colonna vertebrale.
Cerchiamo di ritagliarci sempre qualche minuto per questa operazione. Il violino va collocato sulla spalla: il posto comodo c'è, basta avere la pazienza di trovarlo.
Impugniamo poi l'arco appoggiando la mano sulla bacchetta, come se ci dovessimo reggere sull'autobus, o come fanno le scimmie quando si appendono, e non sistemando un dito alla volta magari tenendo le altre dita tesissime; una volta sistemata la presa proviamo dei movimenti circolari: polso e poi braccio, come se nuotassimo.

Infine....
Provate a suonare sdraiati (fa ridere ed è scomodo ma per il collo è molto liberatorio), sul letto o per terra; attenzione perché non si può ovviamente tirare tutto l'arco!
Provate a suonare con il violino lontano dal collo, come i violinisti tzigani, quasi sul petto.
E poi - il più consigliato - trovatevi uno spigolo e studiate lì! Lo spigolo di un muro, di un armadio o di una porta sul quale adagiare schiena e testa e che vi permetta di tenerli su una stessa linea retta. E' quasi impossibile ma vi fa rendere conto di quanto storti suoniamo e di quanto rigido sia il nostro collo. Quando abbandonate lo spigolo ogni tanto pensate di appoggiare la testa su un cuscino, e lasciatevi andare.



PS: nella grande indecisione sulla foto da pubblicare (vista la mia passione per il film "Frankenstein junior") metto questa, tra mie preferite.



La mano intonata

Come dice Montalbano.... mi sono fatta persuasa che una mano morbida e rilassata sia anche intonata.

Se noi ruotiamo la nostra mano sinistra come per suonare il nostro strumento, le dita assumeranno una posizione morbida e una curvatura naturale. Una curvatura naturalmente "tonda", con le dita né contratte né allungate. Osserviamo questa curva con attenzione.
Ora prendiamo il violino e posizioniamo le dita sulle corde, quasi sfiorandole. Piano piano iniziamo ad alzare il secondo o il terzo dito (il perché di questo è spiegato nel post "Uno contro tutti") e a muoverli partendo dalla base. Il dito deve rimanere morbido e tondo. E' importante che il dito rimanga morbido e fermo, che si muova solo l'articolazione della base.
Eseguito questo movimento percussivo per un po' di volte iniziamo ad affondare sulla corda, senza premere in eccesso; quanto basta per far uscire il suono. Pensiamo a quando tamburelliamo le dita su un tavolo!
Dopo di che proviamo ad ascoltare con attenzione l'intonazione del dito: se cala o cresce sposteremo tutta la mano fino a quando sarà intonata la caduta, ossia tutta la mano.
Se ci abituiamo così (è noioso, lo so) educheremo la nostra mano all'intonazione, perché il dito cadrà sempre nello stesso punto e quindi sempre intonato. Se invece correggiamo il solo dito facendolo scivolare sulla corda sarà intonato casualmente e per una sola volta. Il dito, inoltre, farà un movimento ogni volta diverso: una volta più tondo, l'altra più allungata... e non troverà la strada corretta.

Si tratta di movimenti che dobbiamo fare con lentezza e assimilare con calma e pazienza; poi diventano come la nostra casa, all'interno della quale ci muoviamo tranquillamente anche di notte, al buio.







Nessuno mi può giudicare

Il giudizio è tra i concetti più negativi che caratterizzano la nostra esistenza.
Quasi tutti ci sentiamo continuamente giudicati dagli altri: genitori, parenti, amici (forse meno, si spera), colleghi di lavoro, ma anche sconosciuti che incontriamo per strada.
Chi più chi meno spreca il suo tempo pensando.... a cosa pensano gli altri! E' ovviamente assurdo, se ci pensiamo bene. Possiamo essere certi del pensiero altrui solo quando questo ci viene comunicato.
Eppure lo facciamo, ci cadiamo sempre, ci sentiamo in colpa e interpretiamo i gesti degli altri. Un viso annoiato ci può sembrare arrabbiato nei nostri confronti. Una persona assorta nei suoi pensieri ci sembra altro ancora. Non possiamo assolutamente conoscere le ragioni degli altri, di conseguenza ci danneggia solamente immaginare quello che pensano.

Con la musica la paura del giudizio diventa esponenziale. Le ragioni sono ovvie: ci troviamo di fronte a qualcuno che ci ascolta, quindi ci giudica. Credo sia uno dei problemi più grandi di chi suona, dai professionisti agli amatori. Chi ascolta diventa un giudice crudele e implacabile, e noi degli assoluti inetti.
Cosa fare?
Innanzitutto passare dall'altra parte; immaginare di ascoltare chiunque, bravo o meno bravo, e convincerci che ascoltiamo e non giudichiamo. Impariamo ad ascoltare e a godere la musica degli altri. Punto. Ed escludiamo il nostro giudizio. Io mi godo le esecuzioni di chiunque, dai più piccoli ai grandi musicisti. Ognuno dà sempre qualcosa. E, sembrerà strano, l'insegnante non giudica ma indica una strada.
Poi non giudichiamo noi stessi. Se stiamo studiando la nostra energia sarà indirizzata verso quello che va sistemato, se stiamo suonando godiamoci la musica e i risultati dello studio.
Cerchiamo quindi di mettere a tacere l'orrida e fastidiosissima voce interiore che ci dice cose tremende: non siamo all'altezza, gli altri sono migliori di noi, chi ci ascolta chissà cosa pensa e così via.
La morte della voce interiore avviene lentamente - purtroppo.
Dobbiamo imparare a ignorarla giorno dopo giorno. Dobbiamo far finta di niente quando arriva e cercare di pensare ad altro. Nel momento in cui la sentiamo arrivare concentriamoci sul suono, sul respiro, sulla musica... su tutto ciò che non sia giudizio verso noi stessi.
Piano piano sparirà... e forse sparirà anche nella nostra vita, perché senza la spada di Damocle del giudizio nostro e altrui si vive meglio.






Pasticciamo la nostra musica

Una premessa: studiare e suonare sono, per me, due cose assolutamente separate. Quando suono eseguo: posso leggere a prima vista, mi posso divertire, oppure mettere in pratica i frutti dello studio; ho quindi una certa libertà.

Questo argomento riguarda lo studio.
Spesso ci troviamo di fronte a un brano da studiare e, come primo impatto, ci viene voglia di eseguirlo nella maniera più comoda a noi (non parlo della prima o seconda lettura ma dell'inizio dello studio).
Arcate più corte, diteggiature più comode, diciamo che scegliamo la via più breve. Quasi sempre la via più breve, però, non si rivela quella più corretta. Così ci rendiamo conto che il revisore aveva le sue ragioni, che l'arcata lunga serviva all'espressività del brano, che la diteggiature più complessa a non spezzare una frase e così via.
Il risultato finale è che arriviamo a suonare confusamente: eseguo le mie diteggiature? Le cambio? Mah... L'indecisione crea così un'esecuzione imprecisa, un'esecuzione all'interno della quale decide il caso o, peggio, non decide nessuno quindi si sbaglia.
La parte che ci troviamo di fronte e che dobbiamo studiare bene (per un concerto, per un esame o altro) deve essere invece essere priva di dubbi. Decidiamo con assoluta precisione le arcate e le diteggiature, poi le dinamiche. Il nostro studio serve anche a stabilire con certezza cosa fare: cerchiamo quello che ci piace, ci convince, ma non lasciamo che sia il caso a (non) decidere.
E soprattutto SCRIVIAMO sulla nostra parte! Scriviamo le arcate che siamo sicuri di voler eseguire, stesso dicasi per le diteggiature, cancelliamo quello che con certezza non ci convince, scriviamo le alterazioni che ci sfuggono, scriviamo la dinamica e, per concludere (questo è assolutamente facoltativo) lo stato d'animo che ci suscita quel pezzo. Sorrisi, facce buffe, lacrime.... chi più ne ha più ne metta!
Le nostre parti devono essere vissute, pasticciate, piene di noi! Un tempo avevo il terrore di scrivere sulle parti, ma anche sui libri che leggevo; addirittura li aprivo poco, per non rovinarli! Invece vi assicuro che ritrovare le parti piene di noi, anche dopo vent'anni, è davvero emozionante.