Il (lungo) cammino verso la cima

Lo studio di uno strumento porta spesso a un approccio meccanico.
Che significa? Se io ripeto tutti i giorni una serie di esercizi tecnici rischio di eseguirli senza pensare, senza la corretta attenzione.
E' importante quindi porsi un obiettivo ben preciso ogni volta che si esegue un esercizio. Se si studia meccanicamente e senza obiettivi è meglio uscire e fare una passeggiata.
L'obiettivo da raggiungere dovrà essere cercato tutti i giorni, con volontà e passione.
Se sto studiando le corde vuote il mio pensiero costante sarà quello di ottenere il suono più bello possibile, e starò attenta alla postura, alla morbidezza del braccio, alla tenuta dell'arco, al peso e alla qualità del suono prodotto, che deve avere più armonici possibile. Diciamo quindi che già su una corda vuota abbiamo molto materiale a disposizione!
Posso poi occuparmi dell'intonazione, della caduta delle dita, dei cambi di posizione, della velocità e così via.
Chiediamoci se il ritmo funziona - spesso il ritmo si trasforma per colpa di arcate delle quali abbiamo poca padronanza (una arcata eseguita con troppo accento sposta il battere in levare); facciamo sempre attenzione a questo.
Infine l’interpretazione: di sicuro nella nostra testa siamo in grado di immaginare il brano che stiamo suonando. Se ci pensiamo o lo canticchiamo ci verrà davvero come lo immaginiamo, come lo vogliamo. Cerchiamo quindi di renderlo com'è nella nostra testa, e non come le braccia ci portano a suonarlo. Magari sarà una interpretazione discutibile, ma di sicuro interessante e piena di musica.
Mi piace pensare al raggiungimento di un obiettivo come una camminata in montagna: si inizia lentamente, guardando la cima (chiedendosi se mai si raggiungerà)... Poi si comincia a camminare, con calma. Ad un certo punto, verso la fine, la fatica è tanta, le gambe non ce la fanno più e il fiato sembra finire; spesso si pensa di mollare e di tornare indietro. Una volta arrivati in cima, però, sparisce tutto alla vista della meraviglia che si ha di fronte, allo spettacolo delle cime dei monti, e all'idea di aver domato la fatica e superato la difficoltà.


ps: la montagna è il Cervino (la mia montagna preferita)


L'orecchio e la voce


"L'orecchio e la voce" è un saggio interessantissimo di Alfred Tomatis, medico francese che si occupò in modo approfondito delle patologie dell'orecchio.
La sostanza della teoria di Tomatis è che l'orecchio è importantissimo per la percezione della realtà che ci circonda; l'udito è un senso fondamentale, che però non viene preso in considerazione quanto dovrebbe. Chi è interessato all'argomento può trovare tutto online, comprese associazioni che continuano il lavoro del grande studioso.
Quello che mi ha colpito profondamente di Tomatis è un esercizio molto semplice, che poi secondo me può essere applicato alla musica e allo studio dell'intonazione e alla ricerca del bel suono.
Ci sediamo in modo da avere una postura rilassata, e ci concentriamo semplicemente su tutto ciò che riusciamo ad ascoltare: all'inizio dell'esercizio i suoni e i rumori sono pochi, poi aumentano, perché ovviamente è la nostra percezione di questi ad aumentare. Un esempio: se io sto facendo un esercizio per rilassarmi ripeto più volte "il mio braccio è rilassato, il mio braccio è pesante, il mio braccio è abbandonato...." e così via. Con l'orecchio è lo stesso, ci si chiede cosa stiamo sentendo, e ci si interroga se c'è altro.

Per quanto riguarda lo studio dell'intonazione, quindi, sarà lo stesso.
Suono una corda vuota e poi una nota con la mano sinistra. Aspetto e mi chiedo se è intonata. Se sì la riprovo comunque per confermare all'orecchio (e al mio corpo) che è corretta. Se non la sento intonata provo ancora, ancora e ancora....
E' la domanda che stimola l'orecchio, così come un peso i muscoli dei bicipiti!
Domandiamoci continuamente quindi se la nota che stiamo suonando è intonata. Inutile dire che tutto questo va eseguito lentamente (diciamo 40 di metronomo ogni nota, più un respiro o una pausa) e che le dita devono cadere senza scivolare sulla tastiera, quindi ferme sulle corde.
Lo stesso si può fare con il bel suono.
L'orecchio lavora come tutti gli altri muscoli: l'unico modo per stimolarlo è attivarlo tramite continue domande.






Eppur si muove...

Suonare e muoversi: come e quanto?
Ci sono violinisti che si muovono in modo forsennato, dalla punta dei piedi a quella dei capelli. Ce ne sono altri invece che sono totalmente immobili e fermi, saldi sui loro piedi.
La scelta di muoversi mentre si suona è personale; diciamo che dipende anche dall'occasione. Un solista può sicuramente permettersi un maggior movimento rispetto a chi suona in orchestra.
In uno dei primi post di questo blog ho parlato di quanto sia importante la postura: piedi ben saldi a terra, busto solido, spalle rilassate e braccia morbide. Questo ovviamente è il primo passo per la "base". Da questa si può partire per muoversi più o meno liberamente seguendo la musica. L’importante è essere coscienti del nostro movimento, quindi scegliere di muoverci o di rimanere fermi. Quello che trovo assolutamente sbagliato è il movimento ripetitivo, come per esempio il dondolio incontrollato, che a volte può essere addirittura fuori tempo o i movimenti che rasentano il tic.
Il movimento è ovviamente utile e liberatorio! Fa bene studiare muovendosi: si possono eseguire scale o corde vuote, oppure brani facili, camminando, muovendo le gambe e alzando la testa, facendo insomma dei movimenti che distolgano la nostra attenzione dall’eccessiva tensione che ci porta lo strumento.
Oppure possiamo suonare un brano che ci piace e che conosciamo bene. Ci chiudiamo in una stanza perché in questi casi è necessario per potersi lasciare andare liberamente. E iniziamo a muoverci seguendo la musica, se è possibile chiudendo gli occhi: non suoneremo mai così di fronte a nessuno.... ma la sensazione di quel movimento liberatorio rimarrà sempre dentro di noi.






Questa immagine è tratta dal film "La foresta dei pugnali volanti" (per chi non lo avesse visto: la danzatrice è cieca).

Che la forza sia con te

La forza che impieghiamo per suonare varia a seconda di quello che stiamo facendo.
Ad esempio: se suoniamo un passaggio veloce le dita dovranno quasi sfiorare le corde, quanto basta per far uscire la nota. Se invece dobbiamo suonare una melodia cantabile, il suono sarà molto vibrato, il peso e la pressione saranno ovviamente maggiori.
Proviamo quindi a impiegare la forza necessaria, mai di più né di meno.
Questo discorso vale per tutte le nostre azioni quotidiane: proviamo a variare l'intensità e a calibrare la nostra forza, fino a quando troveremo quella giusta. Se ci fermiamo a pensare alla forza che utilizziamo per una qualsiasi azione quotidiana ci renderemo conto che per lavarci i denti spesso usiamo la forza che serve per arare un campo di patate.
Per la mano sinistra, come dicevo, si passa dallo sfiorare le corde nei passaggi veloci o nei cambi di posizione, al peso che serve se dobbiamo vibrare intensamente una nota, oppure se dobbiamo fare un glissando espressivo.
Lo stesso quando teniamo lo strumento: se suoniamo in prima posizione possiamo quasi lasciarlo sulla spalla, aiutandoci a tenerlo anche con la mano sinistra. Se invece dobbiamo suonare una frase molto vibrata (magari con un cambio di posizione dalla quinta alla terza posizione, quindi all'indietro), lo strumento dovrà essere tenuto più stabilmente.
Per l'arco è lo stesso: alcune arcate si possono eseguire con il solo peso dell'arco, ossia limitandosi a "condurre" semplicemente l'arco sulle corde (le dita saranno leggere sulla bacchetta). Altre arcate invece dovranno essere eseguite con maggior peso dell'arco, una maggiore contropressione del pollice e una maggior presa da parte di tutte le dita.

Ricordiamoci quindi sempre di pensare a quanta forza è necessaria per quello che stiamo facendo: ci farà risparmiare energia, limitare i danni da sforzo e utilizzare in modo giusto la quantità che ci serve.





Un abbraccio allo strumento

Appeso alla libreria davanti alla quale studio (e o suono), ho la fotocopia delle ultime battute di "Lacrimae" di Benjamin Britten; in realtà si tratta del tema scritto nel 1597, dal John Dowland - precisamente “If my complaints could passion move”.

Io lo suono sempre, come un saluto allo strumento. Così come diciamo buongiorno e buonasera, così come sorridiamo (si spera) alla vista delle persone care, mi piace pensare a una specie di abbraccio allo strumento.

Quindi: scegliete quello che volete, quello che più vi piace, lento, veloce, patetico o scherzoso, e suonatelo tutti i giorni con tutta la gioia che avete e sempre nel modo migliore possibile (tecnica e cuore)...





Il (mio) Bignami


CORDE VUOTE
1: slanci (per la condotta dell'arco, senza peso, molto morbidi).
2: inizio ad aumentare le durate delle note: 2, 4, 6, 8.... 12, 16
(si possono variare slanci e note lunghe così come le corde tra loro: non sempre la stessa, insomma).
3: una scala con varianti: prima lenta, lentissima, poi legata a 2, 4, 8 e tutto l'arco; detaché, staccata, balzata...

MANO SINISTRA
1: caduta delle dita, lentamente (con estrema attenzione a morbidezza, intonazione e posizione della mano)
2: velocità (le dita si alleggeriscono) e studio del movimento del dito al contrario (quando si solleva dalla corda.
3: cambi di posizione: una scala su una corda, con cambi in prima-terza-quinta oppure prima-quarta.... scale a terze su una corda.
4: ottave: morbide, studiate pensando soprattutto alla caduta delle due dita e alla presa della mano partendo dal quarto dito; poi all'intonazione.


Prima la musica poi le parole

Queste di oggi sono considerazioni - e domande.
Mi chiedo sempre per quale motivo molta parte della musica, da quella popolare al jazz, ma anche quella del passato, abbia una notevole dose di improvvisazione.
E mi chiedo ancora per quale motivo i musicisti classici di oggi siano arrivati ad essere ossessionati dalle singole note, per non parlare di dinamica, fraseggi e arcate.
La domanda è provocatoria, nel senso che per alcune situazioni questa attenzione è davvero richiesta (concerti importanti e formazioni d'insieme), ma a volte tutto questo ci fa dimenticare la MUSICA.

Siamo ossessionati da così tante cose (a partire da quelle tecniche che ovviamente hanno la loro importanza), che la musica passa in secondo piano.
La tecnica e la precisione sono fondamentali, così come l'impostazione sullo strumento. Però devono diventare MEZZI per raggiungere qualcosa, ossia la musica, e non fine a se stessi.

Allora, dedichiamo parte dello studio, o meglio dell'esecuzione, alla vera musica: alla bellezza del suono con le arcate che più ci piacciono, al ritmo (che secondo me è fondamentale) anche sbagliando qualche nota e alla nostra interpretazione, con la dinamica che piiù ci piace e le arcate che ci vengono meglio! Se un ritmo non è chiaro sentiamolo prima dentro di noi: lo possiamo riprodurre con le mani, con un qualsiasi oggetto, e poi con le corde vuote, per esempio. Se una frase melodica non viene fuori, cantiamola, immaginiamola, e poi riproviamola (sempre corde vuote prima) sullo strumento.

Insomma... prima di tutto viene la musica, non ce lo dimentichiamo!



ps: "Prima la musica poi le parole" è il titolo di un divertimento di Antonio Salieri