Facciamo che....

"Facciamo (finta) che tu sei la mamma e io la figlia?" "Giochiamo a mamma e figlia?" (vale anche per papà e figli maschi, ovviamente) E' uno dei giochi più affascinanti dei bambini, perché lascia totalmente spazio all'immaginazione, al fare finta, a credere che tutto può essere, l'importante è deciderlo. Una bellissima metafora, tra l'altro, della nostra vita.
Spesso lo studio di uno strumento ci porta a dover affrontare esercizi fisici o concetti di non facile apprendimento. Per quanto possa essere importante una spiegazione fisiologica (tendini e muscoli) o tecnica (appoggio, velocità e quantità di arco...), accompagnate dall'imitazione, a volte io trovo molto utile l'utilizzo di immagini.
Le immagini aiutano sia la tecnica strumentale sia il fraseggio e il linguaggio musicale adatto al brano che stiamo affrontando. Non è un caso che molti compositori abbiano dato dei titoli alle loro opere - o che, molto spesso, siano stati dati da altri (a volte in modo improprio, ma questo è un altro discorso).

Queste sono alcune immagini che uso io - le prime, anche confuse, che mi vengono in mente:
-i pizzichi con le unghie per il picchettato
-il gatto che tiene la zampa sul topo per l'appoggio dell'arco
-spolverare per l'arco leggero
-spostare un oggetto pesante su un tavolo, sempre per l'appoggio
-spalmare qualcosa sul pane (l'ideale, per me, è il burro su una rosetta, morbida ma resistente)
-muovere il polso tenendo qualcosa in mano (bottiglia, bicchiere, ahimé ormai cellulare)
-impugnare la penna/matita per la posizione dell'arco

La lista è lunga, potete divertirvi e sbizzarrirvi come meglio vi piace...
L'immagine ci aiuta a rendere una azione complessa, come quella del suonare uno strumento, un movimento giornaliero, che conosciamo meglio, come appunto bere, mangiare, scrivere... rende conosciuta una azione che ancora non abbiamo assimilato.


Grazie!

Io ringrazio di cuore tutti voi che leggete il mio blog!

Grazie a chi legge in silenzio, a chi lo segue tramite google e a chi mi scrive.






Le venature del legno

Come abbiamo già intuito quando abbiamo iniziato a posizionare le quattro dita sulle corde, ossia che a guidarci c'è solo il nostro orecchio, per i cambi di posizione ovviamente la pratica si complica molto.
Prima di studiare con calma e attenzione i cambi di posizione io consiglio di iniziare a capire bene le nuove diteggiature e l'intonazione della terza e poi della seconda posizione. Quindi: un sano esercizio in posizione fissa su qualsiasi volume (il quarto volume di Sassmannshaus è molto piacevole anche da suonare, oppure il terribile Sitt secondo volume). Ovviamente, dovendo suonare in terza o seconda posizione, la mano comunque inizierà a muoversi sulla tastiera, guidata dall'orecchio - e in modo approssimativo.
Per lo studio dei cambi di posizione si può partire intanto dal movimento della mano sinistra sulla tastiera, dall'inizio alla fine - ossia da capotasto a quasi il ponticello: si possono eseguire dei movimenti senza suonare, sfiorando le corde e lasciando libero il braccio sinistro. In questo modo la mano seguirà la rotazione del braccio, che avviene dalla quarta posizione in poi.
Lo studio attento dei cambi, invece, riguarda l'acquisizione di un tragitto molto preciso che ci permette di trovare le note in una tastiera priva di un qualsiasi punto di riferimento. L'orecchio guida il cambio, ossia il movimento, ma è il movimento che va imparato, fino a quando non è necessaria più nessuna guida - teoricamente lo si dovrebbe saper fare senza ascoltare se la nota è giusta.
La sensazione che ho quando eseguo un cambio di posizione è quella di cadere in un buco, che rappresenta la nota intonata. Mi viene in mente quando passiamo la nostra mano (meglio le nostre unghie) su una superficie in legno, piena di venature: se la passiamo velocemente non le sentiamo ma, se rallentiamo il movimento, le nostre dita entrano in ogni solco del legno.
L'esercizio che studio sempre è molto semplice: una nota di partenza, un portamento e una nota di arrivo. La nota di partenza serve per capire da dove partiamo; il portamento è lento e morbido e si conclude con la caduta nel buco della nota intonata che, appena trovata, va ripetuta per capire che è quella corretta. Si studia, come sempre, il movimento, guidato dall'orecchio. E' importante concentrarsi sul movimento del braccio, perché la mano rimane quasi uguale (il quasi riguarda appunto il progressivo restringimento delle posizioni più acute).
Il comando del cambio di posizione, quindi, è nel gomito, che regola di quanto il braccio deve muoversi. Non ha senso studiare il cambio se il dito arriva poco prima o poco dopo e la nota viene successivamente aggiustata. Deve cadere a piombo, nel buco della nota intonata.
Si possono studiare all'inizio i cambi più lontani tra loro (prima-terza-quinta, oppure prima-quarta); poi le posizioni vicine tra loro, secondo me più difficili, per poi salire su quelle più acute. L'importante è mantenere pulito il movimento, che deve essere morbido, fluido e regolare, ossia senza accelerare o rallentare nel tentativo di aggiustare il tiro. Successivamente si possono studiare delle scale su una corda, oppure delle semplici melodie eseguite con un solo dito, per poi passare alla tecnica più complessa come quella di Sevcik.
Alla base, comunque, rimangono la pulizia e la precisione del cambio, così come la mappa mentale delle note sulla tastiera.

PS: ci sono diverse scuole sui cambi di posizione, alcune si basano sul movimento della mano e non del braccio; io ovviamente ho imparato e sempre studiato quella che ho descritto qui ma non pretendo, come tutto quello che scrivo, che sia quella corretta.






Il movimento co(st)rretto

Molto spesso uno studio accurato e particolareggiato, come quello di uno strumento musicale, ci fa perdere di vista alcuni aspetti più generali. Tra i tanti ne cito uno fondamentale, ossia la respirazione! Molti strumentisti si dimenticano di respirare!
Per questo motivo penso che, allo studio di un particolare aspetto tecnico, vada sempre affiancato il movimento che si deve compiere per farlo.
Ossia: se sto studiano la condotta dell'arco, per controllare che sia dritto e che mantenga sempre lo stesso punto di contatto sulle corde, è importante anche provare delle arcate sciolte e senza troppo controllo, concentrandomi esclusivamente sul movimento, anzi "facendo" il movimento e osservando cosa succede (per poi correggerlo).
Se studio la tecnica della mano sinistra, oltre a preoccuparmi di intonazione e velocità delle dita, potrò fare dei movimenti delle dita come quando si tamburella su un tavolo.
Lo stesso per altri movimenti che il nostro corpo compie suonando il violino, e che molto spesso sono bloccati: la rotazione della spalla sinistra quando si passa dal sol al mi (si può studiare a parte, portando il braccio verso sinistra e verso destra, facendolo dondolare); la rotazione della spalla destra, ad arco fermo (alla metà, alla punta e al tallone), passando da una corda all'altra senza suonare; il movimento del gomito utile per cambiare posizione, fingendo dei glissandi sulle corde, dalla prima alle posizioni più acute e così via...
Non dimentichiamoci che si muove anche il torace, per respirare, le scapole... insomma tutto il corpo!

Il movimento deve essere corretto e non costretto.


Per l'immagine cito dal sito "Le Light Painting est une technique consistant à capturer des traces lumineuses dans une photographie. C’est dès 1957 que Georges Mathieu utilisa le Light Painting, dans le cadre de son fameux voyage à Tokyo, pour réaliser la couverture d’un magazine japonais."

Quanto peso...

Torno a parlare, nuovamente, della complessità della tecnica dell'arco. Insieme al movimento di tante articolazioni (spalla-gomito-polso-dita), il braccio destro esercita anche diversi tipi di pressione o, viceversa, si solleva.

Al tallone l'arco deve essere tenuto: è il mignolo (purtroppo), a sostenerne tutto il peso! Subito dopo il tallone estremo, a partire già dalla metà inferiore, l'arco scivola sulle corde. Man mano che invece si avvicina alla punta l'arco tende a perdere il contatto l'appoggio, e ha bisogno di un maggior sostegno, che va dato dal braccio che scarica il peso sull'indice - sostenuto dal pollice.

Per capire, con calma, come viene controllato il peso dell'arco posso eseguire lentamente il movimento: parto quindi al tallone sostenendo l'arco con il mignolo (l'indice può essere anche sollevato), lascio andare senza nessuna pressione né tensione alla metà, mi appoggio gradualmente alla punta, scaricando il peso del braccio sull'indice - a questo punto il mignolo può trovarsi staccato dalla bacchetta (spesso si nota nei violinisti).
L'esercizio è molto semplice ma richiede però molta attenzione! Posso eseguire delle note in "pianissimo" al tallone, per poi passare a note forti alla punta, muovendo le dita sulla bacchetta, ossia spostando il baricentro del peso del braccio dal mignolo all'indice.

Ma.... una volta capito il movimento e ripetuto più volte, poi lo devo dimenticare. Quando si studia o si suona, l'idea deve essere quella di un'unica arcata, altrimenti ci si distrae con troppi particolari e si rischia di muovere inutilmente le dita sull'arco (ancora più deleterio).






L'orecchio del bel suono

Chi suona ha a che fare, tutti i giorni, con una disciplina che non dà sicurezza. I progressi dello studio non sono visibili né evidenti... Spesso si studia, si va a dormire, e il giorno dopo ci si chiede se il passaggio difficile verrà bene come la sera prima! Questo perché il lavoro del musicista si fonda, soprattutto, sullo sviluppo dell'udito, anzi, dell'orecchio musicale.
Ho già parlato dell'orecchio in due post (in uno trattavo dell'intonazione). In questo che scrivo oggi, invece, vorrei concentrarmi su un aspetto che, secondo me, a volte viene tralasciato nel senso più profondo che il termine ha: "il bel suono".
Perché più profondo? Perché a volte si trascorrono ore suonando corde vuote, note lunghe, con dinamiche diverse e complesse, ma ci si dimentica pensare all'elemento più importante, ossia la bellezza del nostro suono. Non la quantità, non la potenza o la leggerezza del pianissimo ma la bellezza, pura, del suono.
L'orecchio è il mezzo che abbiamo per curare il nostro suono e, secondo me, l'unico modo per farlo è chiederci di continuo se è bello, se potrebbe essere più bello e più bello ancora.
Una semplice domanda, ripetuta più volte, che stimola la nostra sensibilità e, contemporaneamente, migliora il suono che produciamo. L'orecchio ci permette di alleggerire se il suono è troppo pesante, o di appoggiarci di più se invece manca di peso. Il circuito braccio destro-suono deve passare per l'orecchio e per la continua domanda: "è abbastanza bello?".
Corde vuote, scale, brevi pezzi: l'importante è dedicare una parte dello studio giornaliero alla crescita del nostro "orecchio del suono".





Come il treno sui binari

Come ho scritto già in un altro post, trovo che uno degli aspetti più difficili da comprendere, nell’approccio al violino, sia quello del cosiddetto “appoggio”. Si studia spesso partendo dal peso del braccio, lasciandolo cadere a peso morto, lungo il corpo. Si passa poi al gomito appoggiato alla mano del maestro, poi al polso e, infine alle dita (ruotate). Il concetto di appoggio si comprende prima con la testa; poi, ripetendo più volte gli esercizi, a mo’ di mantra o di training autogeno, il nostro corpo lo fa suo e, così, diventa impossibile suonare senza appoggio, senza il peso del braccio.
A volte, però, può capitare di suonare con un arco leggero, senza né peso né appoggio, eppure il braccio deve essere morbido lo stesso.
Penso quindi che sia importante convincersi di una idea altrettanto fondamentale, legata all’appoggio, ossia che l’arco si conduce, sempre, e non si trattiene nel suo movimento fluido. L’arco scivola sulle corde, come un treno sui binari.
Proviamo a pensare di tirare il nostro arco, in su e in giù, liberamente (senza andare al tallone, dove entrano in azione una maggiore tenuta e forza muscolare). C’è una enorme differenza tra il condurre l’arco, facendolo scorrere sulle corde, quindi guidandolo nel suo tragitto, e sostenerlo, come sospeso, per compiere il tragitto (sempre escludendo il tallone!).
Studiamo sempre, quindi, delle corde vuote senza peso né appoggio, tirando l’arco liberamente e cercando solo il “suo” peso. Il “suono dell’arco”, lasciato al suo peso, è leggero e pieno di armonici. Durante questi esercizi possiamo allentare la presa delle dita, muovendole una per volta, e divertirci anche a tenerlo a mo’ di viola da gamba, al contrario. All'inizio l'arco ci scapperà dai suoi binari; poi, con l'aiuto delle dita (quanto basta), impareremo a lasciarlo sulla sua strada.