Fino alla fine

Ho già parlato delle somiglianze tra il linguaggio e la musica. Ci sono diversi aspetti che possono essere messi in relazione per capire meglio il linguaggio sonoro, sicuramente più complesso di quello parlato. Uno di questi riguarda la conclusione delle frasi o delle parole: la fine di una frase si percepisce dal tono e dall'accento che noi utilizziamo, inconsapevolemente.
Quando si suona tutto questo è meno ovvio e, a volte, presi magari dalla foga della fine del brano, si danno degli accenti sulle ultime note rendendo il finale pesante e sgraziato. Diciamo tirato via.
Spesso si termina una frase o un brano senza l'attenzione che questo merita. Ogni frase, invece, va curata fino in fondo, nei minimi particolari - anche il movimento dell'arco (rimane sulle corde e poi si alza, con molta calma; oppure si alza velocemente....).
Quindi, quando finiamo una frase, cerchiamo di curarla fino alla fine e, di conseguenza, chiudiamola così come si chiudono le parole senza accento: due note suoneranno come le parole con due sillabe, così come quelle con tre e via dicendo. L'importante è che il senso del finale sia chiaro a noi e al nostro orecchio. Anche perché, in realtà, ogni cosa che facciamo andrebbe curata fino in fondo, accompagnata fino alla fine. Un po' come, al termine di un bel film, leggiamo tutti i titoli di coda!







Le sette corde del violino

Sì, ovviamente sono quattro... il titolo è provocatorio!
Riuscire a suonare  le quattro corde del violino, una per volta e con estrema precisione e velocità nei cambi non è così semplice e scontato. A volte ci si dimentica delle difficoltà dei primi mesi o anni, e di quanto ci si impiega per riuscire a non toccare continuamente la corda accanto, soprattutto quelle centrali (il la e il re).
L'abilità che si sviluppa in questo caso dipende dalla capacità di capire che i movimenti principali sono due e sono ben distinti: uno riguarda la posizione del braccio su ogni corda, l'altro il movimento di sfregamento del braccio sulla corda stessa. E' molto importante distinguere bene i due movimenti e avere chiaro in mente quando si tira l'arco (su una corda) e quando invece si cambia corda (senza suonare). Ovviamente i due movimenti poi saranno così veloci e ravvicinati da non riuscire a percepire la differenza.
Concentriamoci sul cambio di corda e sulla posizione che il braccio deve avere per passare da una corda all'altra. Possiamo posizionare l'arco alla metà e capire quale posizione assume l'articolazione della spalla su ogni corda, senza suonare: sul sol chiaramente si troverà più in alto, sul mi più in basso. Il cambio avviene semplicemente muovendo l'articolazione della spalla, come se avessimo un braccio ingessato (si fa per dire). Provate a muovere a scatti l'articolazione della spalla sentendo il peso del braccio su ogni corda, immaginando quattro scalini. Poi fatelo velocemente, senza scatti e morbidamente, coscienti però dei passaggi sulle quattro corde.
Allora perché sette corde...? Perché, oltre alle singole corde, capita spesso di suonare le doppie corde o corde alternate velocemente. Da qui gli altri tre piani: il piano del sol-re, quello del re-la e quello del la-mi.
Se dobbiamo suonare una doppia corda sol-re il nostro braccio si troverà su un piano intermedio, ben appoggiato, né sul sol né sul re. Esattamente in mezzo, bene in equilibrio. Lo stesso se dobbiamo eseguire delle note veloci che si trovano sulle due corde: è inutile esagerare il movimento e arrivare sul sol o sul re ogni volta. Rimaniamo sul piano intermedio, come se dovessimo eseguire un bicordo ma oscillando di più con il braccio e il polso, tenendo sempre presente il comando che parte dalla spalla e la posizione del nostro braccio.
Solo una estrema precisione porta a una estrema libertà....




Il peso ideale

Questo post riguarda il peso delle dita della mano sinistra sulla tastiera.
Poiché è già difficile trovare le note sulla tastiera e riuscire a essere intonati, spesso il problema del peso delle dita passa in secondo piano, mentre ha una importanza fondamentale sia sull'emissione del suono sia sulla salute della mano. Ho già scritto che i calli sulla dita sono indice di una eccessiva pressione sulle corde (ovviamente se per caratteristiche della pelle un grande musicista ha i calli sulle dita questo non significa che suona in modo sbagliato... spero che quello che scrivo venga sempre preso con buon senso).
Innanzitutto cerchiamo sempre di pensare che la nota viene emessa interrompendo la vibrazione di una corda e non schiacciando questa sulla tastiera. Non pensiamo al legno della tastiera ma alla corda!
Proviamo a suonare come se dovessimo eseguire degli armonici, sentendo il materiale della corda, le impercettibili sfaccettature. Poi affondiamo quanto basta, senza arrivare fino in fondo. Ad un certo punto il suono verrà fuori senza schiacciare in modo eccessivo.
Cerchiamo di capire quando si può rimanere in superficie e quando, invece, è necessario affondare di più.  Se dobbiamo eseguire una frase lenta, cantabile e vibrata il dito dovrà affondare di più e appoggiarsi per poter vibrare bene la nota.
In caso di passaggi veloci, invece, non c'è bisogno di arrivare così in fondo. Pensiamo a quando tamburelliamo le nostre dita su un tavolo: sono leggere, scattanti, elastiche. Un passaggio veloce sul violino dovrà avere la stessa leggerezza, lo stesso scatto e la stessa elasticità (su questo argomento tornerò prossimamente). Quindi: proviamo a tamburellare le dita sulla tastiera velocemente, muoviamole senza pensare alle note e cerchiamo sia la morbidezza sia l'uguaglianza della caduta. Piano piano iniziamo a suonare senza pensare alle note e, lentamente,  cerchiamo anche la giusta intonazione e collocazione sulla tastiera.
Ricordiamoci che si lavora sempre sia sul particolare sia sull' "universale". Non dimentichiamoci che, oltre alla velocità, all'intonazione e alla precisione, c'è anche la posizione corretta, il respiro, il movimento fisico di un determinato esercizio o passaggio. L'eccessivo controllo porta a dimenticarci di questo.







Tutti i giorni

Le attività alle quali dedichiamo del tempo tutti i giorni assumono un'importanza particolare nella nostra vita e ci permettono di ottenere dei risultati amplificati.
Se cammino venti minuti al giorno avrò molti più benefici rispetto un'ora a settimana. Una serie di semplici esercizi per la postura (schiena, collo soprattutto) manterranno in salute la nostra colonna vertebrale che, con gli anni, tende a deteriorarsi e saranno più efficaci di un'ora settimanale in palestra.
Lo stesso vale in altri campi e, ovviamente, in quello musicale. Uno studio costante, giornaliero, ci permette di ottenere dei risultati sicuramente migliori di un'abbuffata nel fine settimana.
Diciamo quindi che, dilatato nell'arco della settimana, lo studio si potenzia. Tutti i giorni significa superare la pigrizia, la noia mostruosa della ripetizione, il dramma di iniziare sempre da capo (diciamo che, una volta iniziato, poi è meno dura). Significa lavorare sempre più nello specifico ed essere sempre più soddisfatti per aver superato le difficoltà per aver aggiunto un mattoncino a una costruzione gigante che, giorno dopo giorno, cresce.
Se tutti i giorni, per esempio, dedichiamo una decina di minuti alle corde vuote lente, alla fine di una settimana, di un mese, di un anno e di più anni riusciremo ad ottenere un suono davvero notevole. Ma deve passare il tempo. Io credo che le corde vuote eseguite lentamente abbiano una precedenza su tutto il resto, e possano essere considerate (già l'ho scritto) una specie di passo obbligatorio, un mantra giornaliero. L'esercizio per scaldarci. La ginnastica mattutina. Il "nostro" esercizio quotidiano che si esegue a tutti i costi. Come chi corre anche quando diluvia e tira vento (con tutta la mia invidia). Senza scuse né giustificazioni per rimandare a domani "Il gomito mi fa contatto con il piede" (Elio e le storie Tese cit).
Pensate a un esercizio. Datevi un tempo preciso da controllare periodicamente (un mese, tre-sei mesi, un anno) e provate a vedere cosa succede dedicando dieci minuti del vostro studio a un aspetto particolare dello studio. I risultati arriveranno di certo.




Al buio (non) si trova...

Se pensiamo a quanto è piccola e priva di riferimenti la tastiera di un violino, l'idea che le mani di un violinista non solo trovino le note intonate, ma siano in grado di muoversi, con incredibile precisione, sembra un miracolo!
In realtà non è un miracolo ma il frutto di un lungo e meticoloso studio che si ripete tutti i giorni, di un duro impegno il cui lavoro può paragonarsi a quello di un atleta.
Ho già parlato dello studio dell'intonazione; ripeto brevemente.
Pensiamo a un orologio digitale e a uno con le lancette. Nell'orologio digitale i numeri si susseguono l'un l'altro, mentre in quello con le lancette possiamo seguirne lentamente il movimento. La caduta delle dita sulla tastiera deve essere come il susseguirsi dei numeri dell'orologio digitale e non come un lento trascinamento alla ricerca della nota giusta.
Veniamo ora al movimento della mano sulla tastiera, ossia ai cambi di posizione. Il principio è lo stesso della caduta delle dita, solo che il tragitto da compiere è più lungo e complesso.
Prima di tutto dobbiamo essere sicuri delle note di partenza e di arrivo. Controlliamo quindi bene la nota di partenza e cerchiamo di capire dove dobbiamo arrivare, sia il percorso fisico da compiere (quanto è lontana la nota di arrivo? due toni, due toni e mezzo...) sia l'intonazione (è molto utile cantare la nota oppure suonarla, se è possibile, in posizione fissa).
Per esempio: sulla corda mi, dobbiamo suonare un sol diesis secondo dito che arriva al si in terza posizione. Possiamo suonarlo prima con il quarto dito per capire bene dove si trova. Cantiamo e immaginiamo con molta chiarezza la nota di arrivo.
A questo punto iniziamo a muovere il braccio, cercando di mantenere la mano nella stessa posizione - non si muove il dito ma tutto il braccio, come se il comando partisse dall'articolazione del gomito.
Dividiamo l'esercizio in tre fasi (tre note di media durata, con tre arcate separate): 1. suoniamo la nota di partenza, 2. suoniamo il glissando, 3. suoniamo la nota di arrivo. Il glissando deve essere lento, morbido e fluido (non serrate il pollice). Nel momento esatto in cui, con l'orecchio, percepiamo la nota di arrivo ci fermiamo e la ripetiamo. Il movimento deve essere preciso, non dobbiamo fermarci né prima né dopo - per poi aggiustare! Ricordiamoci l'orologio digitale. Pensiamo alla nota di arrivo come a un foro all'interno del quale cade il dito. E' solo quello il punto esatto. Si scivola e si cade nel buco, senza esitazione. Ripetendo con costanza l'esercizio la mano troverà il tragitto corretto, ad esempio quello dalla prima alla terza posizione (e ovviamente anche le altre posizioni). Non ha senso ripetere l'esercizio in modo impreciso, ossia aggiustando all'ultimo momento la nota di arrivo. La tecnica serve a rinforzare, ripetendo, l'azione corretta. Solo con la ripetizione del movimento giusto e della nota intonata riusciremo a padroneggiare la famosa tastiera piccola e senza punti di riferimento. Ripetendo svogliatamente, avanti e indietro, tanto per metterci la coscienza a posto, non serve a nulla - anzi, peggiora le cose e ci fa perdere tempo.
Lo studio dei cambi di posizione è difficile e lungo. Combinando le quattro dita con le dodici posizioni va da sé che le possibilità, quindi lo studio, sono tante. Ci si può sbizzarrire come si desidera, in modo tale da padroneggiare con disinvoltura la nostra cara tastiera, così come ci muoviamo nella nostra casa al buio.










Ruota la mano

La posizione della mano sinistra del violino è indubbiamente contorta. Trovata una sua stabilità nella contorsione, però, si riesce anche a stare comodi e rilassati, ma è importante capire come.
Due, secondo me, sono i punti fondamentali.
Il primo è la rotazione della mano, che deve essere il più possibile parallela alle corde.
Il secondo riguarda invece la morbidezza delle dita, che devono essere tenute ferme sulla tastiera, come fosse quella di un pianoforte, evitando di serrare il primo dito.

La rotazione della mano avviene con il tempo e con l'utilizzo regolare di questa posizione particolare. La posizione naturale della nostra mano, guardandola, è quella con il palmo rivolto verso il nostro viso. Per suonare, invece, dobbiamo cercare di ruotarla fino a tenerla con il palmo parallelo alla tastiera, ossia verso sinistra.
Un esercizio utile per la rotazione è quello di abbracciare con le dita la tastiera, come se fossimo sorretti a un palo. Prendiamo il manico del violino con tutta la mano e poi lentamente lo portiamo nella posizione solita, aiutandoci anche con la mano destra nel posizionare lo strumento.
In questo modo la mano è, per forza di cose, attaccata alla tastiera. Pian piano, poi, si possono staccare le dita e posizionare come sempre, sfiorando con i polpastrelli le corde.
Quando si suona, invece, è utile impostare la mano mettendo giù il terzo dito. In questo modo la mano è già pronta sulle corde. Iniziando dal primo, invece, la mano è più portata ad allargarsi verso l'esterno.
Quindi, proviamo giornalmente ad eseguire brevi e morbidi esercizi di allungamento dei tendini, in modo tale che la base della nostra mano sia attaccata alle corde. Insisto sul "con calma e lentamente" perché forzare la mano nella rotazione può danneggiare molto i tendini.
Veniamo ora al secondo punto. Personalmente sono convinta che, per avere delle dita morbide e dalla caduta regolare, come ho già detto, si debba partire mollando la presa tra primo dito e pollice. Più si stringe il primo dito sul manico, in opposizione al pollice, più la mano si stringe e non ruota ma, anzi, rimane aperta e perpendicolare alla tastiera. La sensazione della caduta delle dita sulle corde deve essere come se suonassimo un pianoforte. O, per chi non lo ha mai suonato, se tamburellassimo le dita su un tavolo. Se proviamo a farlo ci rendiamo conto di quanto sia facile questo gesto quasi quotidiano. Sul violino dobbiamo provare a farlo con la stessa naturalezza, pensando che le dita sono tutte uguali.
Proviamo a mettere le dita sulla tastiera e a suonare la sequenza 0-1-2-3-4 e viceversa (legando con due arcate). Poniamo la nostra attenzione sul primo dito e proviamo a mollare, soprattutto quando arriviamo al quarto dito. Maggiore è la stretta più fatica si fa a suonare correttamente il quarto dito. Più è morbido più il quarto dito è libero, poverino, di allungarsi senza avere dietro la zavorra del dito più forte!






Prima di suonare.... aspetta!

Al contrario di altre forme d'arte quali la pittura o la scrittura il lavoro fatto sullo strumento non è mai sicuro, tangibile. Ci alziamo la mattina con il dubbio che lo studio fatto il giorno precedente sia ancora lì. "Verrà o no quel passaggio difficile e complicato?". Così ci buttiamo, a freddo, sullo strumento, solo per controllare di saperlo eseguire, magari senza scaldarci, con il corpo contratto e la mente poco concentrata. La sicurezza, nel percorso di chi suona, non è mai così facile; forse per questo le esibizioni in pubblico creano sempre tanta ansia.
Cerchiamo però di essere più fiduciosi nel nostro lavoro giornaliero e cerchiamo soprattutto di non buttarci sullo strumento come su un piatto di pasta dopo ore e ore di digiuno (anche in quel caso si dovrebbe mangiare con calma... cosa che non avviene facilmente).
Controlliamo la postura e ricordiamoci di pensare al nostro corpo, così come al respiro. Iniziamo dalla posizione dei piedi, che dovrebbero essere la base del nostro corpo, quindi posizionati alla stessa distanza che intercorre tra le nostre spalle. Cerchiamo una stabilità in questa posizione, oscillando in avanti e all'indietro, cercando un equilibrio, una posizione comoda. Passiamo poi al busto, ossia alla schiena, una parte importantissima del nostro corpo! Mentre le gambe sono sorrette dalle ossa, oltre che dai muscoli, il nostro busto si appoggia purtroppo sulla colonna vertebrale, che supporta e sopporta tutto il carico della nostra parte superiore e della pesantissima testa. La colonna vertebrale deve assolutamente essere sostenuta dal nostro apparato muscolare, altrimenti si accorcia e inizia a dare notevoli problemi, tra bassa schiena e vertebre cervicali. Facciamo quindi attenzione sia alla postura sia al sostegno, ossia non ci sediamo su noi stessi, accartocciando l'addome; cerchiamo invece di ottenere una base ferma e solida. Arriviamo poi alle spalle che, a loro volta, sostengono la testa. Proviamo a rilassare e abbassare le spalle, pensando ai muscoli delle scapole, evitando di chiuderle per tenere lo strumento. Allarghiamo bene il torace e ricordiamoci, sempre di respirare. Il violino, lo ripeto, va tenuto a sinistra, e non sotto al mento. L'arco a destra, pensando alle braccia e alle spalle, sempre ben larghe. La nostra cassa toracica deve diventare una sorta di grata, all'interno della quale passa l'aria. Apriamo le costole, altrimenti ci dimenticheremo di respirare. Infine la testa. Non serriamo il violino come se ce lo dovessero strappare con forza. Basta molto molto poco per tenerlo, e soprattutto non è sempre necessario tenerlo con forza.
Per questi passaggi basta molto poco. Se "perdiamo" qualche minuto pensandoci, prima di iniziare a suonare, eviteremo molte tensioni che non aiutano lo studio successivo, già carico di difficoltà.

Questo che vedete è un disegno che ritrae Paganini. Ovviamente è stortissimo! Un po' perché è una caricatura (ce ne sono numerose che lo ritraggono così), un po' perché lui, come molti violinisti, non aveva una postura "corretta". Non era corretta ma era naturale, e in equilibrio probabilmente, ossia giusta per il suo corpo. Si tratta di eccezioni. Notevoli eccezioni!





Purtroppo non è un arco

L'archetto del violino, anche se chiamato così, ha una forma dritta, allungata. E' una retta. Nell'antichità era sicuramente più curvo, ma la posizione dei crini è sempre stata dritta. Ovviamente.
Fermiamoci e riflettiamo su questa considerazione: i movimenti che dobbiamo compiere per tirare un'arcata dritta, e che coinvolgono tutte le articolazioni, i muscoli e i tendini del braccio, vanno a formare una linea retta. La difficoltà nel condurre una arcata in modo corretto è proprio questa.
Se noi prendiamo un arco in mano il primo movimento che ci viene naturale è appunto un movimento circolare, che porta la punta dietro la nostra spalla sinistra (quando suoniamo al tallone), e il tallone dietro le nostre costole, a destra e in basso, quando andiamo verso la punta. Insomma, il movimento naturale è un arco ... anche se non è quello giusto, purtroppo!
Il movimento corretto dell'arco è complesso e deve essere curato nei minimi particolari: bisogna alzare il braccio e il polso e piegare le dita al tallone, avere una posizione corretta alla metà e allungare bene alla punta, senza portare indietro il gomito. I movimenti sono tanti e vanno imparati tutti insieme per riuscire ad avere un suono morbido e appoggiato, quindi anche un arco dritto.
Queste poche righe che scrivo vorrei che servissero a riflettere sul movimento complessivo dell'arcata e su quanto questo sia diverso da quello spontaneo.
Se prendiamo un arco in mano ci viene voglia di compiere un movimento tondo concavo, come se la nostra spalla fosse il fulcro del cerchio. Per tirare l'arco dritto, invece, dobbiamo andare contro natura e pensare l'esatto contrario, ossia a un arco convesso, cioè come se il centro del cerchio fosse all'esterno, di fronte a voi (il riccio del violino, tanto per fare un esempio).
Quando siamo al tallone dobbiamo portare il braccio verso l'alto, insieme a polso e con l'aiuto delle dita, quindi verso di noi. Quando invece andiamo verso la punta dobbiamo allungare tutto verso i nostri piedi, di fronte a noi.
Immaginiamo quindi questa porzione di cerchio e percorriamola con la nostra mano e con il braccio destro. Immaginiamo di toccarci il naso con il polso e poi allungare il braccio in avanti, come per fermare qualcosa.
L'arco va controllato sempre: nei movimenti che compie, (braccio, polso, dita), va tenuto sotto controllo nel punto di contatto con le corde, ossia sotto ai nostri occhi, e può essere osservato anche guardandoci di profilo ad un specchio. Quando studiamo le corde vuote o le scale dobbiamo sempre porre una grande attenzione alla correttezza dell'arcata.
A volte, però, l'eccessivo controllo porta a una perdita di spontaneità. Non dimentichiamo mai di pensare anche al movimento che compiamo, che invece è sempre morbido e liberatorio.
Ricordiamoci che il nostro braccio si deve adattare utilizzando tutte le articolazioni per muoversi lungo una retta... immaginando una curva che è il contrario di quella che ci viene spontaneamente.




Il tempo del corpo

Quando affrontiamo lo studio di un brano molto difficile, o comunque che presenta passaggi complessi, accade uno strano fenomeno: la nostra mente è in grado, dopo poco tempo, di capire chiaramente cosa dobbiamo eseguire, ma il nostro corpo ha bisogno di molto più tempo e, soprattutto, di ripetizioni continue.
Per raggiungere un buon livello nell'esecuzione dobbiamo far sì che i passaggi complessi raggiungano un certo automatismo. Non siamo in grado di affrontare, tutte insieme, una serie di informazioni come ritmo, note, distribuzione dell'arco, intonazione, diteggiature e altro ancora.
Quindi: ricordiamoci che da una parte c'è la spiegazione del funzionamento, il primo approccio. Dall'altra la ripetizione quotidiana, il sudore e la fatica, che ci permettono di eseguire il brano in questione. Senza questo, suoneremo sempre in modo approssimativo, ogni volta sbaglieremo un passaggio e il tutto ci porterà a una grande tensione.
Il procedimento vale anche per altri comportamenti: prima capiamo le regole, il funzionamento, poi dobbiamo ripetere e far passare del tempo prima che il comportamento diventi automatico. Pensiamo a quando, per esempio, ci spiegano come funziona la macchina. All'inizio, almeno per me, usare la frizione in salita era un incubo! Lo stesso per infinite altre azioni alle quali, ormai, non pensiamo più.
Il nostro corpo ha bisogno di tempo per imparare; dobbiamo prima aver interiorizzato e capito cosa fare, poi passare alla pratica.
Spesso la mancanza di una immediata corrispondenza tra l'aver capito le difficoltà di un brano musicale e la sua realizzazione porta a una forte frustrazione e molta rabbia.
Questo è il punto fondamentale di questo (strano) post: cerchiamo di non irrigidirci se il brano non viene subito, così come ci immaginiamo. E affrontiamo una difficoltà alla volta. Concentriamoci prima sull'arco, magari semplificando con corde vuote. Poi sulla sinistra, anche senza l'arco. Poi mettiamo insieme le due mani ma eseguendo piccoli pezzi e lentamente (molto lentamente). Insistiamo sui passaggi difficili che devono essere eseguiti sempre in modo corretto; non serve a nulla sbagliare e andare avanti, bisogna ripetere più volte.
E ricordiamo: diamo tempo al nostro corpo.




Il legato

anzi... illegato
Per lo stesso principio per il quale, inconsapevolmente, leghiamo le parole tra loro pur continuando a pensare che siano parole distinte.
Il legato nel violino va considerato in un duplice aspetto: quello all'interno dell'arcata e quello, importantissimo, tra una arcata e l'altra.
All'interno dell'arcata, per legare due o più note tra loro, è importante mantenere una condotta dell'arco fluida, costante e regolare, a prescindere da quello che fa la mano sinistra. Il mio consiglio è sempre quello di provare l'arcata su una corda vuota, per capire bene come deve essere tirato l'arco: cerchiamo di avere sempre presente quanto ne va tirato e a quale velocità. Se, per esempio, l'arcata dura quattro quarti, eseguiamola più volte facendo attenzione a tirare tutto l'arco (se è richiesto) e a tirarlo in modo omogeneo - evitando, per esempio, di sprecare tutto l'arco alla metà inferiore. Poi possiamo continuare a suonare la corda vuota mettendo le dita sulla corda accanto, cercando di mantenere omogenea la condotta dell'arco. Infine aggiungiamo le dita della mano sinistra. L'arco non dovrebbe rilevare nessuna alterazione.
Risolta l'indipendenza tra condotta dell'arco e lavoro della sinistra, passiamo al legato tra una arcata e l'altra.
Il violino ha una voce meravigliosa ma, al contrario di uno strumento a fiato o di un cantante, può legare tra loro un numero limitato di note. Spesso, quindi, per eseguire una frase legata, siamo costretti a usare due o più arcate.
Come sempre, studiamo per prima cosa una serie di corde vuote e cerchiamo di non far sentire il cambio di corda (al tallone sarà sicuramente più difficile). Quando le corde vuote sono a posto proviamo la frase che stiamo studiando, arcata dopo arcata. Ci dobbiamo concentrare su quello spazio infinitamente piccolo che si trova tra l'ultima nota della prima arcata e la prima nota dell'arcata successiva. Oltre allo studio del movimento che utilizziamo per il cambio di corda è importante concentrarsi su quel punto, capire che è importante e che non è solo un insignificante passaggio tra due note ma l'essenza del legato. Tra le due note non c'è un vuoto ma un momento pieno di energia e di tensione, un momento magico che rende la frase musicale davvero cantabile.