Mi fermo, respiro


Quando ascolto i grandi musicisti noto che una delle caratteristiche che mi colpisce di più, e nel profondo, è la capacità di respirare, di creare dei punti di sospensione, anche nei passaggi più veloci, rimanendo perfettamente nel tempo del brano che eseguono.
L'esecuzione di un grande concertista è caratterizzata da questa capacità di rendere chiaro il fraseggio, di creare una musica "respirata", una musica che ci parla e, così come le parole, è ricca ed espressiva, e piena di pause.

Il respiro, nella musica, somiglia a quello che pratichiamo giornalmente infinite volte (di questo, come sempre, ho già parlato): i nostri respiri possono essere affannati e veloci, oppure calmi e profondi. Spesso, anzi sempre, ci dimentichiamo di porre la nostra attenzione al respiro - se non, addirittura, di respirare (quante volte per uno stress eccessivo, ci ritroviamo in apnea?).
Sul violino, quando suoniamo, accade lo stesso: le note si susseguono affannosamente, senza quel giusto tempo, quel respiro necessario tra una nota e l'altra. Se ci fermiamo ad ascoltare il ritmo della nostra respirazione notiamo che, tra l'inspirazione e l'espirazione c'è sempre un momento in cui tutto si ferma. E' una pausa infinitesimale, una brevissima pausa.
La stessa pausa, che secondo me è il momento in cui davvero riusciamo a rilassarci, a fermarci, si può ricercare anche nel nostro suono. Io lo trovo un momento magico, intenso e fondamentale.
Proviamo a suonare delle semplici arcate, corde vuote o scale, con un ritmo tranquillo e in modo tale da rimanere rilassati. E poniamo la nostra attenzione sulla fine della nota e l'inizio di quella successiva. La nota che finisce non dovrà essere affrettata, ma concludersi naturalmente, rimanere sospesa, per poi arrivare all'altra. In silenzio che si crea tra le due note ovviamente varia a seconda della velocità con la quale stiamo suonando. La nota non va troncata, né fermata bruscamente, ma interrotta al momento giusto, ossia quando finisce di risuonare. Pensiamo al ritmo del respiro, o a una palla che rimbalza (a quel momento in cui è in aria e sembra sospesa, ferma - quella della foto è una pallina da tennis che rimbalza, a rallentatore).
Esercitandosi sui respiri il nostro orecchio si educherà ad un nuovo punto di vista, che è quello che c'è tra due note e, per quanto strano possa sembrare, è uno degli aspetti fondamentali del fare musica.






Prego, passi prima lei

Arco e mano sinistra svolgono due ruoli molto complessi che, oltre ad avere una estrema precisione e coordinazione, devono anche essere indipendenti tra loro.
Per quanto complessi entrambi, credo che si sottovaluti sempre l'importanza dell'arco, soprattutto quando si affrontano passaggi veloci o legati. Nei passaggi veloci è sempre utile soffermarsi sulle corde che si vanno a toccare, mentre nel legato è fondamentale non influenzare la condotta del suono con quello che accade nella mano sinistra.
Un elemento che ritengo molto molto importante è l'indipendenza tra le due mani; non intesa solamente come di solito si affronta, ossia la tecnica di una e dell'altra mano, ma vista come due movimenti separati, senza che nessuno dei due dipenda l'altro.
Purtroppo può capitare a tutti che una arcata possa venire stentata perché la mano sinistra è stonata, oppure perché il dito non è ancora pronto sulla tastiera. Se però, all'imprecisione della mano sinistra, si aggiunge una cronica indecisione dell'arco, quest'ultimo non sarai mai sicuro né corretto. La sicurezza dell'arco sicuramente si studia, ma deve essere presente sempre, anche quando un brano non è tecnicamente a posto, altrimenti il nostro suono sarà bello solo quando il brano è perfetto.
Come sempre è importante sezionare lo studio: la mano sinistra si studia separatamente, lentamente, concentrandosi su caduta delle dita e intonazione; l'arco, sempre in separata sede, magari studiando lo stesso passaggio con le sole corde vuote oppure lentamente. Questo è lo studio... poi arriva l'esecuzione. E quando si esegue il brano l'arco deve procedere per la sua strada, senza intoppi né frenate, altrimenti il suono verrà bloccato o, come dicevo, stentato.
Quindi: se devo eseguire delle quartine veloci, il braccio destro eseguirà un detaché elastico, su e giù, senza mai fermarsi, anche se qualche nota è sbagliata o stonata. Ovviamente, nella fase successiva, si ripeteranno lentamente i passaggi sbagliati. Anche in caso di un passaggio legato o cantabile, il movimento sarà continuo e morbido, attento all'uguaglianza della vibrazione.
Se l'arco aspetta che la sinistra sia perfetta, e viceversa, ci si ritrova come due persone indecise di fronte a una porta... che alla fine si scontrano tra loro.







Maestri di noi stessi


Molto spesso, quando suoniamo, siamo presi da così tanti pensieri che ci dimentichiamo di ascoltarci come farebbe un estraneo, o come faremmo noi stessi con un altro. La tensione dello studio porta a una scarsa attenzione all’insieme e, spesso, anche a un ascolto esterno. Penso che tutti quanti abbiate provato massimo sconforto ascoltando la vostra voce registrata; all’improvviso non la riconosciamo più, semplicemente perché siamo abituati a percepirla dall’interno, totalmente immedesimati.
Come possiamo fare per estraniarci, e provare ad essere spettatori di noi stessi?
Intanto si può suonare di fronte a uno specchio: sia frontalmente, per vedere la posizione del corpo, sia lateralmente, per controllare la condotta dell’arco.
Poi ci si può registrare. La registrazione è una pratica utilissima per migliorare il nostro studio; si potrebbe considerare quasi un secondo insegnante. Ovviamente va bene sia una registrazione audio, sia (forse ancora meglio), un video. Per entrambi, però, consiglio di acquistare apparecchi che abbiano un minimo di qualità. La registrazione fatta con il cellulare ha una qualità di suono davvero pessima.
Il momento dell’ascolto di noi stessi non è mai facile; scatta subito il giudizio, spesso impietoso, nei confronti di noi stessi.
Siamo abituati, ormai, a registrazioni perfette, eseguite da grandissimi musicisti, che hanno studiato anni e anni prima di incidere un disco! Quindi, per prima cosa, bisogna dimenticare quello che ascoltiamo di solito, e i nostri miti!
Passato il trauma iniziale, invece, si può costruire qualcosa, facendo attenzione a tutto quello che, giorno dopo giorno, ci interessa migliorare. Possiamo eseguire un brano da capo a fondo, oppure semplicemente delle corde vuote; possiamo controllare la crescita tecnica di un brano registrandolo una volta a settimana. Insomma, le idee sono tante.

L’importante è imparare a essere spettatori e maestri di se stessi.





Non si fa, non si fa

Tra i vari difetti che mi capita spesso di vedere negli studenti, quello che trovo più grave è la posizione della mano destra. Ovviamente la mano è la parte finale di quello che succede in tutto il braccio e nel rapporto di questo con l’arco e con lo strumento.
Partiamo dall’inizio….
Il nostro istinto ci porta a tenere l’arco, ossia a pensare che questo debba essere sollevato sopra alle corde: è vero, abbiamo in mano un oggetto che, purtroppo, è anche lungo. Ci dobbiamo però convincere del contrario, ossia che l’arco è tenuto dal violino e che, per non suonare, è sufficiente stare fermi sulle corde.
Il nostro strumento suona quando viene sollecitato e questo avviene quando l’arco, dalla metà alla punta, si appoggia, si spalma sulle corde. Se pensiamo a come suona una corda pizzicata è semplice: più affondo il dito maggiore sarà il suono.
Se invece, nella metà superiore, io sostengo l’arco con il mignolo (purtroppo tenuto spesso rigido e non tondo e morbido), il suono non uscirà mai e non si otterrà neanche quella elasticità che deve caratterizzare il cambio di arcata.
Allora: credo si debba dedicare molto ma molto tempo innanzitutto a convincere il nostro corpo che l’arco si tiene da solo, è come un treno sui binari, è incollato sulle corde e, su queste, va spalmato. Si può anche stare fermi, su corde diverse, senza fare nulla se non percepire l’appoggio del braccio e dell’indice sulla bacchetta, e il sostegno del pollice sotto.
Poi altrettanto tempo a capire che il mignolo non deve essere tenuto rigido, sforzandosi, nonostante la difficoltà, a mantenerlo sempre tondo e rilassato (più il mignolo è teso più l’arco si solleva: se provate a premere forte il mignolo l’arco si solleverà dalle corde).
Durante lo studio è molto utile osservare la nostra mano destra: poiché il braccio è ruotato verso l’interno noi dovremmo vedere solo ed esclusivamente il dorso della nostra mano. Se invece, suonando, vediamo l’interno della nostra mano, ossia la parte che si trova tra indice e pollice, qualcosa non quadra.
Credo che questo sia uno dei punti fondamentali per capire l’emissione del suono e che non si debba mai pensare che una posizione sbagliata è solo questione di estetica. Una mano che ha il dorso parallelo all’arco, e con un mignolo rigido (che significa quindi un braccio che non si appoggia sull’indice), non potrà mai portare a un bel suono.