Il "suono"


Al nostro orecchio un suono può essere sia quello di un bambino che tocca il tasto di un pianoforte, o è alle prime armi sul violino, sia quello di un grande solista, che ci fa venire la pelle d’oca. A prescindere dalla bellezza del suono, della quale ho già parlato, volevo soffermarmi in questo post sulla qualità del suono, quella che lo rende sostanzioso, intenso, appoggiato, come si usa dire. Per “suono” (scritto tra virgolette) intendo questo.

“Il suono” è quello che riuscite ad ascoltare alla fine della sala da concerto in cui vi trovate, quello che non ha bisogno di amplificazione, quello del violinista che, con la metà dell’arco, riesce ad eseguire una frase lunghissima e sempre con la massima intensità.

Il suono si studia, giornalmente, e si costruisce così si costruiscono i muscoli di un atleta. Chiaramente ci sarà poi l’atleta che vince le gare e quello che lo fa per passione; ma ognuno di noi lavora e porta avanti passioni a livelli diversi: per fortuna siamo tutti importanti allo stesso modo.
Per quanto mi riguarda uno degli aspetti più difficili, nella costruzione di un suono intenso, è la capacità di gestire il movimento dell’arco e l’appoggio di questo. Immaginate di muovere un dito su un tavolo: mentre sarà molto semplice muoverlo velocemente, la lentezza crea dei problemi di omogeneità (il dito si muoverà a scatti). Per capire meglio: inspirate per bene e, nell’espirazione, emettete una esse (come il sibilo di un serpente). La lettera S blocca il flusso dell’aria e vi permette di far uscire l’aria lentamente, controllandola. Il punto in cui emettiamo la S è fondamentale per capire cosa succede nell’arco. Se percepite l’aria che sta uscendo potete accorgervi che lo fa mantenendo una pressione costante: l’aria è controllata dalla chiusura della S.
Nell’arco deve accadere lo stesso, ma purtroppo non c’è nessuna S che ci aiuta nel controllo della velocità. La S, ossia il punto che trattiene la velocità costante, è l’appoggio del braccio. Chiaramente se l’appoggio è eccessivo (oppure se schiacciamo o premiamo il braccio invece di rimanere morbidi) l’arco si fermerà. Viceversa, se non appoggio, l’arco andrà troppo veloce. L’equilibrio tra peso e velocità dell’arco ovviamente si studia con le note lunghe, iniziando a lavorare con andature più veloci (quattro battiti per arcata) per arrivare a quello che si riesce a fare (10, 20….). L’arcata deve essere il più possibile omogenea: il suono forte, sempre uguale, così come assolutamente omogenea deve essere la velocità. Per forte intendo un suono che sia tale: suonando lentamente diventa più facile togliere il peso, ma questo riguarda un altro tipo di studio. Quindi: note lente, con un suono corposo.
Con il passare dei mesi, e degli anni (….!), dedicando giornalmente cinque minuti alle corde vuote e alla crescita del nostro “suono”, questo inizierà ad avere una sostanza totalmente diversa.





In foto: sala Santa Cecilia, Auditorium Parco della Musica a Roma (con l'augurio di poterla vedere di nuovo così!)