Diamo un senso a queste scale

Ci sono modi differenti per studiare l'intonazione, l'importante è essere consapevoli che una corretta intonazione si sviluppa lavorando sull'attenzione del nostro orecchio, la relazione tra le note, l'armonia e, infine, la capacità di adattarsi a chi suona con noi.
Ho già parlato di come sviluppare il nostro orecchio (in sistesi: chiedendosi se una nota è intonata).
Veniamo ora alla relazione che c'è tra una nota e l'altra, soprattutto in rapporto all'armonia di quello che stiamo suonano, partendo dallo studio delle scale.
Quante volte vi sarà capitato di suonare una scala di sol maggiore e pensare che il sol vuoto finale fosse stonato (o che si fosse all'improvviso scordato il violino)? Ovviamente non è stonato il sol vuoto ma le dita che lo precedono, che si sono gradualmente spostate. Abbiamo perso la relazione tra le note, perché ci siamo concentrati su una nota alla volta, dimenticandoci dell'insieme, dell'armonia.
Spesso, studiando le scale, soprattutto quelle cromatiche, non pensiamo che le note fanno parte di un insieme ben strutturato (l'ottava), che ha un senso armonico, così come il suono del nostro linguaggio. Studiare una scala non è solo mettere le dita sulle corde vuote, sperando di non sbagliare diesis e bemolli, significa eseguire una struttura che è alla base di tutta la nostra musica.
Non dimentichiamoci che è la melodia della canzone "Scale e arpeggi" del cartone degli Aristogatti!
Quindi, proviamo a cercare così il senso della nostra scala di sol maggiore: suoniamo il sol vuoto inziale e poi il terzo dito all'ottava sulla corda re e ripetiamo un po' di volte. Poi sol vuoto, re vuoto e di nuovo terzo dito; poi l'arpeggio di una ottava, e poi "riempiamo" l'arpeggio con la nostra scala, mantenendo la concentrazione sui punti di riferimento che abbiamo suonato negli esercizi precedenti: come se, dal sol vuoto iniziale, il nostro orecchio aspettasse quello all'ottava successiva, passando per il re vuoto. 
Gli intervalli di ottava, quarta e quinta (ossia come li abbiamo eseguiti in questo semplice esercizio), sono più facili da intonare rispetto alle seconde e alle settime - non parliamo dei semitoni della scala cromatica che sono ancora più difficili proprio perché sono molto vicini. Impariamo quindi ad avere nella nostra testa come "suonano" gli intervalli, e a dare loro la giusta importanza.
Ogni nota ha un ruolo preciso nella scala! Possiamo suonare la scala come se fosse un racconto: l'inizio (la tonica), una sorta di conferma del suo carattere (la terza, maggiore o minore), un allontanamento verso una sospensione (la sensibile) e il lieto fine (il ritorno della tonica).
Con il passare del tempo il nostro orecchio imparerà a sentire la scala in modo diverso, come se fosse la melodia di un brano che ci piace tanto, e a riconoscere gli intervalli anche nei brani che suoniamo. Senza uno studio approfondito dell'armonia non è facile analizzare i brani che affrontiamo; possiamo però identificare le cellule armoniche dalla struttura più semplice (scale e arpeggi) e pensare sempre al loro senso armonico.











Che sta pensando quiz

Molti di voi si ricorderanno del "Che sta pensando quiz", affidato a Nino Frassica all'interno della trasmissione "Indietro tutta": ho sempre trovato geniale (perché assurda) l'idea di un gioco che si basasse sulla possibilità di indovinare cosa possa pensare un'altra persona.
Nella realtà di tutti i giorni, invece, la nostra energia viene spesso sprecata dietro quello che crediamo possano immaginare gli altri di noi. 
Durante l'esibizione in pubblico, ma anche quando siamo a casa e studiamo, la nostra mente parte alla volta di pensieri inutili, che riguardano tutto tranne ciò che ci serve, ossia quello che stiamo facendo. Le nostre azioni dipendono dal modo in cui le affrontiamo e questo è condizionato da come le portiamo avanti: essere presenti e concentrati su quello che stiamo facendo è di fondamentale importanza.
Se dobbiamo fare una cosa, facciamola bene (anche se non ci piace), di sicuro verrà meglio - e passerà prima, in caso non sia di nostro gradimento.
Quando, con lo strumento, dobbiamo suonare di fronte a qualcuno, compare un vero e proprio esercito di voci che lottano per chi ha ragione, spesso con pensieri negativi: non sono capace, chissà cosa pensa tizio, crederà che non so suonare, e via dicendo. Ovviamente tutto questo non ha senso, perché chi ci sta ascoltando potrebbe pensare a miliardi di cose diverse (dalla musica alla cena della sera, dal gas lasciato aperto all'imminente vacanza... la lista è lunga).
Quindi, vista l'impossibilità di consocere cosa gli altri pensano di noi, concentriamoci su quello che stiamo facendo, allenando (ed è forse lo studio più difficile) a pensare al presente. Rimaniamo concentrati su quello che il momento richiede: l'arco, la tecnica della mano sinistra, il respiro, il fraseggio e la musica. Appena arriva l'inutile chiacchiericcio della mente noi dobbiamo cambiare canale e portarlo sullo strumento.
E, così come si impara a suonare intonati, ad avere un bel suono e così via, si imparerà anche a rimanere nel presente mentre si suona, pensando alle mille cose (quelle davvero importanti) che dobbiamo controllare per suonare bene.
 
 





Perché insegno - e scrivo qui

Come è scritto sul mio sito "sono nata in una famiglia di musicisti", con un bisnonno che aveva suonato di fronte a Giuseppe Verdi, un nonno direttore di banda, un padre grande flautista e un fratello altrettanto grande violoncellista. Non è stato quindi facile, per me, trovare una mia identità musicale.
Mi sono diplomata in un ambiente plasmato per chi vuole fare il solista, così come tutti i conservatori italiani di trent'anni fa, portando al diploma un programma che prevedeva i Capricci di Paganini e altri brani pensati sempre ed esclusivamente per chi vuole fare il solista. Sono uscita dal conservatorio con la coscienza che io non avrei fatto la solista, ma neanche una carriera che prevedeva l'esibizione in pubblico (quindi concorsi per orchestre o altro).
Così ho smesso di suonare, con l'idea di vendere il violino e tutti gli spartiti e le partiture che avevo.
Dopo anni di silenzio assoluto, ho ripreso ad insegnare, spronata da una allieva adulta che ha insistito per fare lezione con me. La sua passione mi ha fatto riavvicinare allo strumento, soprattutto quando mi sono resa conto della fortuna che avevo avuto nell'aver studiato da piccola e per tanti anni.
Con il passare degli anni ho dedicato sempre più tempo all'insegnamento, fino a farlo diventare il mio lavoro principale.
Insegno ormai da quando ero studentessa e mi ritengo fortunata perché, dopo anni e anni in cui non sapevo cosa fare della musica che avevo immagazzinato da piccola, ho trovato una modalità che sento mia. 
Per le lezioni compro e consulto i metodi, libri o manuali sull'insegnamento del violino. Ho con me un quaderno dove appunto gli esercizi che ho imparato dai miei maestri, quelli che ho visto ai corsi di perfezionamento (spesso da uditrice), quelli che arrivano da altri docenti (con i quali mi confronto), quelli che leggo e quelli che invento io. Le mie energie sono indirizzate a risolvere i problemi degli allievi, a trovare una soluzione per quello che non riescono a fare; cerco di fargli avere una postura corretta, una buona impostazione, suono, intonazione, cura dell'arco (la lista è lunga), per poi divertirmi suonando insieme a loro (sempre, nell'ultima parte della lezione).
Insegno quello che so suonare e conosco bene e, quando non sono più in grado di farlo, indirizzo  gli allievi ad altri docenti adatti a chi vuole raggiungere un livello avanzato.
Questo blog nasce dalle idee che mi vengono sull'insegnamento (di solito la sera, prima di dormire) e che mi piace condividere con chi ha la mia stessa passione, allievi e maestri.


Grazie a Giorgia Meschini per il bellissimo disegno!





Una torta a strati

Lo studio approfondito di un brano assomiglia alla stratificazione di una torta altissima, ad un vero e proprio millefoglie!
In realtà è come se lo studio non bastasse mai, perché più studiamo più il nostro orecchio si affina e cerca la perfezione tecnica, l’articolazione, il dettaglio musicale, i silenzi.
Alcuni grandi musicisti studiano anni e anni un brano: passano da una interpretazione all'altra, che comunque è sempre perfetta tecnicamente, modificandola nell'andamento, nei respiri, nella dinamica. Trovo sempre affascinante mettere a confronto esecuzioni diverse, soprattutto quando abbiamo la fortuna di poter ascoltare lo stesso interprete a distanza di anni.

Quindi, ovviamente, dovremo sempre studiare a strati i brani che affrontiamo, così come è importante suddividere per argomenti il nostro studio. Non possiamo studiare una arcata difficile pensando anche all'intonazione, così come non ha senso soffermarsi sulle arcate se stiamo studiando un esercizio di articolazione per la mano sinistra. Concentriamoci sempre su un argomento per volta, cercando di essere più precisi e focalizzando al massimo il problema. Quando poi affronteremo i brani musicali gli strati della torta saranno ancora di più, perché dovremmo partire dalla tecnica, per poi affrontare anche tutti gli aspetti musicali. Il lavoro è lungo e molto scrupoloso.
Come sempre possiamo appuntare l’elenco degli argomenti che vogliamo affrontare, dividendoli per giornate di studio, o come ci piace di più.
L'obiettivo principale è riuscire ad avere il controllo di quello che suoniamo, perché solo con un controllo assoluto saremo liberi di fare musica con leggerezza.




Cosa si muove

Quando si osserva un musicista che suona si assiste sempre ad una  naturalezza frutto di un duro e lungo lavoro. I movimenti sono fluidi, morbidi, in armonia con quello che si ascolta.
Chiediamoci, però, da dove partono i movimenti che compiamo, perché spesso si creano degli equivoci su quello che si vede e quello che si fa.
Pensiamo a quando prendiamo una bottiglia per bere: la mano la sorregge e tutto il nostro braccio partecipa al movimento, come se fosse "tirato" dalla bottiglia stessa - ovviamente tenuta molto morbidamente.
Per il nostro arco dovrebbe essere lo stesso: la mano sulla bacchetta, seguita dalle altre articolazioni (polso, gomito, spalla), che seguono il movimento. Per bere non muoviamo il polso, ma il polso si muove  se portiamo la bottiglia verso di noi. Per suonare non muoviamo il polso, né le dita: dita e polso si muovono perché sono appoggiate morbidamente sull'arco che, muovendosi, le porta con sé.
Fate questa prova: tenete saldamente l'arco (come quando suonate) e provate a grattarvi  il naso con il vostro polso e l'orecchio destro con la punta dell'arco. Dopo qualche dubbio su quello che ho scritto dovreste riuscirci senza problemi, comprendendo anche quello che sto scrivendo. Tirate ora delle arcate, continuando a tenere saldamente le dita sull'arco e cercando di rilassare le altre articolazioni, spalla, gomito e polso. Dovreste riuscire a percepire il movimento corretto del  vostro braccio, che segue la direzione dell'arco dietro alla mano, così come quando beviamo dalla bottiglia. Una volta realizzato che è tutto il nostro braccio che si muove di riflesso, potremmo ammorbidire la presa. A questo punto polso e dita si muoveranno (ossia le vedrete muovere), ma solo per seguire la presa sull'arco.
 
Il movimento è vita, ma quello sbagliato crea perdita di energia.







Quanto basta

QB: termine all'inizio incomprensibile, quando si leggono le ricette di cucina, perché ovviamente nessuno  (tranne chi ha scritto la ricetta) sa quando realmente "basti".
Veniamo a noi e al nostro violino! Quanto basta è l'idea che mi è venuta in mente osservando la condotta dell'arco sul nostro strumento.
Quando iniziamo una arcata molto lunga, noi già abbiamo in mente di tirare l'arco molto lentamente (e abbiamo già studiato le note lunghe che impiegheremo per una bellissima frase cantabile). Quando invece si eseguono delle note brevi, oppure staccate, spesso si usa meno precisione, si lancia l'arco senza sapere dove arriverà; il controllo, invece, deve essere lo stesso, come se lanciassi una palla (o meglio una boccia).
Nel caso di un detaché io dovrò sapere esattamente dove arriva la mia arcata, e controllare che quella in giù e quella in su siano esattamente uguali. Come se nel mio avambraccio ci fosse un centimetro e, da lì, io muovessi esattamente di quello che mi serve.
Per lo staccato lo stesso; ma, visto, che è un colpo d'arco più di slancio, potrò immaginare di tirare una palla, come un rimbalzo da una parte all'altra (attenzione perché ovviamente, dal punto di vista tecnico, non è un rimbalzo!).
Un altro esempio: se ho una semiminima che dura metà arco io non tirerò l'arco per poi interromperlo. Saprò, prima di iniziare l'arcata, dove esattamente si fermerà la mia semiminima.
Questo controllo delle arcate, ossia la consapevolezza di dove di fermerà la mia arcata (breve o lunga che sia), evita la fermata brusca sulle corde, che schiaccia il suono e lo rende sgradevole.
Il controllo del percorso, invece, rende il suono sempre morbido e ricco di armonici, anche quando le note sono separate tra loro.